12 Maggio 2024 - 23:52
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Il gioco di Angela Merkel e il futuro dell’Europa

L’Europa sta attraversando una fase di recrudescenza xenofobica dopo anni di crisi e stagnazione economica. Certo, molti fattori hanno contribuito a questa situazione, ma ad accelerare l’incertezza sul continente è stata soprattutto la politica tedesca dell’ultimo decennio. Oramai la Germania è riuscita ad ottenere una dimensione economica ma soprattutto politica, egemonica, che non si vedeva dai primi del ventesimo secolo. Alla sua guida vi è Angela Merkel, diventata Cancelliere nel 2005 con grandi aspettative, e che tuttora viene acclamata da certa stampa nazionale e estera come un grande leader paragonabile a figure come Adenauer, Brandt o Stresemann, anche se sarebbe piu’ accurato usare come riferimento Bismarck, se non forse addirittura, Guglielmo II, il cui scopo era quello di imporsi come potenza dominante. Sarebbe bene cominciare sfatando un mito: Angela Merkel non ha grandi meriti per il rilancio economico tedesco. Se oggi gode di un tasso di esportazioni altissimo e poca disoccupazione il merito si attribuisce alle riforme attuate dal suo predecessore, Gerhard Schröder, il quale ridusse la spesa sanitaria, riformò il sistema previdenziale e soprattutto persuase le organizzazioni sindacali ad accettare una più flessibile regolamentazione del mercato del lavoro. E’ stato questo a rilanciare la produttività tedesca e non a caso è stata la Germania che ha potuto affrontare meglio di qualsiasi altro paese europeo la crisi del 2008. Merkel ha ereditato questo sistema ed è in parte grazie a questo che gli è stato garantito un secondo mandato nel 2009. Ma da allora la cancelliera è rimasta soprattutto attenta agli umori del suo corpo elettorale e il grande vantaggio economico della Germania, con il quale si poteva impostare la direzione europea per il meglio, è andato invece a sostenere una politica conservatrice e punitiva (di austerità) nei confronti dei paesi non allineati, proprio per accontentare le richieste interne delle sue imprese e per riprendere terreno sugli elementi che si erano allontanati dalla CDU in un clima politico rovente. Il caso più eclatante forse si è verificato verso la Grecia. Mentre la decisione sostenibile sarebbe stata di assolvere e perdonare il debito Greco e di mostrare solidarietà (come ha ricordato l’ex Ministro degli Esteri tedesco Joshka Fischer, proprio come si fece nei confronti della Germania dopo il nazismo!) pur di limitare le perdite, si procedette in modo opposto. Precisiamo anche che la crisi del 2010, come rilevato ad esempio dal premio Nobel Krugman, non è stata causata inizialmente in paesi come gli Stati Uniti, la Spagna o l’Irlanda da un problema del debito pubblico, ma piuttosto da quello del debito privato. Nel caso della Grecia una lettura piu’ accurata della crisi richiede considerare la situazione che accanto a un già elevatissimo debito pubblico vi era anche un eccessivo debito privato che si era espanso proprio nell’acquisto dei beni e bond tedeschi (Mercedes, Deutsche Bank, Krupp, etc.) che andavano a tutelare la produttività tedesca. Ma pur di proteggere le proprie banche e non creare disappunto nel suo elettorato, facendo vedere ai tedeschi che “noi non paghiamo per loro”, Merkel e i suoi ministri si sono voluti imporre. E infatti hanno ottenuto ciò che volevano. I creditori tedeschi e francesi si sono salvati tramite i fondi europei di circa 190 miliardi (decisione appoggiata da Monti) dati alla Grecia per risanare il suo debito. Ma molti di quei soldi hanno soprattutto rimborsato gli obbligazionisti privati anziché essere utilizzati per risanare le finanze dello stato greco.

La Germania tuttora però si rifiuta di ammettere che la situazione nei confronti della Grecia, ma non solo, è diventata “politicamente insostenibile” come sostiene Wolfgang Munchau del Financial Times. Così la Germania riesce a dettare la politica economica basata sul rigore fiscale, mentre lei stessa continua a godere di un surplus commerciale che ha raggiunto più dell’8,5% del Pil. Ma come si può far risalire la domanda interna, diminuire l’occupazione, adottare le riforme strutturali, ridurre la deflazione con dei margini di manovra già ristretti dai trattati di Maastricht? Ma pure se si trovano degli snodi fiscali per cercare di uscirne fuori, come sta provando a fare Pier Carlo Padoan, si viene subito bacchettati da Schauble. E anche a causa di questa imposizione politica e mentalità dei tedeschi che gli sforzi della BCE di Draghi hanno limitato successo. Come ha detto di recente Martin Wolf “Berlino farebbe bene a smetterla di lamentarsi degli sforzi della Bce per dare soluzione a questi dilemmi e dare una mano a rimediare a problemi che lei stessa ha contribuito a creare”.

Dopo aver di fatto messo sotto scacco e legato le mani a tutti tramite la politica di austerità, la Germania si è imposta con fermezza alla guida della politica estera europea. Ma anche sotto questo profilo, la Cancelliera non ha lasciato dei segni positivi. La gestione pessima della crisi Ucraina, che andava trattata delicatamente e dov’era prevedibile una reazione russa, ha frammentato il paese e ha indebolito complessivamente la solidità europea. Anche sulla politica della migrazione Merkel dopo aver promesso l’accoglienza di quasi un milione di rifugiati, aprendo le porte a tutti (ma soprattutto ai rifugiati con una certa professionalità), essa ha fatto dietro-front appoggiando di fatto le misure austriache con l’obbiettivo di fermare l’afflusso migratorio proveniente dai Balcani. Questa è una mossa astuta che sicuramente accontenterà alcuni elementi del suo elettorato precedentemente contrariati dal ‘trambusto’ dei rifugiati. Da ultimo, con l’ipotesi di chiudere o limitare la tratta principale del Brennero, l’Italia rischia di diventare il punto d’approdo principale—il che metterà ulteriore pressione sulle nostre istituzioni e potrà avere ripercussioni gravi per quello che riguarda il futuro di Schengen. Ma ciò che forse ha creato più agitazione e suscitato scalpore è stato il recente riavvicinamento tra la Germania e la Turchia. Merkel tenta di convincere Erdogan a mettere un tappo sui flussi migratori in cambio della liberalizzazione di visti turchi e una adesione accelerata alla UE. Il colmo di tutto ciò è che da anni la Turchia cerca di entrare nell’Unione, ma è sempre stata snobbata, soprattutto dalla Merkel che gli voltò le spalle, come commentava Robert Skidelski gia’ nel 2005. Ora però che la Germania si trova in una condizione di necessità e l’Europa un interlocutore debole, si trova a dover scendere a compromessi con Erdogan, il quale sta esercitando un governo autoritario mai visto nella recente storia turca. Per avere un accordo, l’UE dovrà sborsare intorno a 3 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, anche se la linea dura del Presidente turco che fa leva sulla sua posizione ne richiede 3 miliardi l’anno. Sono delle richieste proibitive, soprattutto se si considera che Erdogan non ha preso seri provvedimenti sul transito dei jihadisti dalla Turchia mentre continua a bombardare i curdi che combattono contro l’ISIS. La verità e che a Erdogan dei rifugiati non importa nulla con o senza le frontiere aperte. Tuttavia, la Merkel si sta affidando ad un uomo che contribuisce al caos siriano—da cui provengono la maggior parte dei richiedenti d’asilo in Europa. Per essere arrivati a questo condizione vi è la dimostrazione della scarsa visione strategica dei leader europei che dovevano prevedere lo sviluppo di uno scenario simile e prenderne atto da subito anzi che far conto dei loro problemi interni.

La desolante verità e che all’Europa in questo decennio è mancata una vera leadership (e per questo non guardo soltanto alla Germania, ma anche alla Francia e anche la Gran Bretagna) lungimirante e solidale. Sono troppi gli errori commessi in politica economica e anche estera, di cui alcuni imperdonabili, come in Libia – come ammesso anche da Obama recentemente – e Siria. Ma è soprattutto la politica pericolosa ed anacronistica tedesca che preoccupa. Come sostiene Sergio Romano, la Germania sta conducendo una politica che riflette un nazionalismo introverso e isolazionista, per lei conveniente, ma che di fatto indebolisce gli altri paesi dell’Eurozona che la circondano.

 

 

 

Redazione

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