4 Ottobre 2024 - 19:58
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Donne di conforto dello stupro legale, schiave sessuali dimenticate

Sì, scriverò di prostituzione, stupri, rapimenti e schiavitù. La parte in ombra di un’eredità storica che si presta prima al negazionismo, poi all’oblio.
Dopo il massacro di Nanchino, allora capitale della Cina, le autorità giapponesi decisero di mettere le donne a disposizione dei propri onorevoli soldati per impedire loro di violentare civili. Quindi, stupreranno ancora civili, ma non come un popolo barbaro: la violenza diviene istituzionalizzata.
La macchina del male, nella sua forma più burocratica, banalizza l’orrore nella vita quotidiana delle “donne di conforto”

La Prostituzione in Giappone in poche parole dal 1600

Fin dal XVII secolo, la figura della prostituta è chiaramente integrata all’interno della società, si scorgono ovunque aree di piacere in cui le prostitute convogliano. Il clima è piacevole, gioioso, si va per trovare il puro piacere carnale, ma anche per approfittare di un’atmosfera festosa. Il più conosciuto è Yoshiwara, a Tokyo. Un quartiere conveniente, la “festa” è una presenza costante in questi quartieri, il che rende facile alle autorità garantire l’ordine pubblico (e sociale). Finché, dal 1872, la prostituzione viene finalmente regolamentata, ma in modo misogino.

Infatti, con l’introduzione del programma seido di Kashà, l’idea è quella di istituzionalizzare la prostituzione, quindi di raggruppare le ragazze, di lasciarle. Le prostitute accusate dal governo imperiale di aver trasmesso tutte le malattie, diventano vergognose, non c’è più festa, la prostituzione è lasciata alle persone più povere che diventano veri e propri oggetti sessuali. L’obiettivo è la disumanizzazione sociale della donna promiscua. Le prostitute non sono più donne, ma numeri da classificare, da controllare, ma soprattutto da vendere.

 

Guerra coloniale Nipponica

Gli anni ’20 non sono poi così ruggenti in Giappone, la disoccupazione, la crescita della popolazione, non molto da ingrassare, poco territorio, poche materie prime… Si guarda l’orizzonte più prossimo.

1937. L’impero giapponese intraprende una vera e propria campagna di colonizzazione: prima Taiwan, Corea, poi Manciuria… Infine, il paese nipponico si diffonde in tutta l’Asia. I giapponesi distruggono tutto sul loro cammino, edifici, uomini, donne, bambini… Sono molte le donne che vengono violentate prima di essere uccise, è una normale colonizzazione.

Al fine di evitare questo tipo di scandali — che danno cattivo esempio — le autorità giapponesi parleranno invece di pittoreschi bordelli. Ma, anche facendolo sembrare legale agli occhi di tutti, pubblicando annunci classificati da reclutare, si tratta di rapimento e prostituzione forzata. Si burocratizza lo stupro; lo stupro su larga scala: quasi 200.000 donne sono state forzate tra il 1931 e il 1945. Queste sono “donne di conforto” per gli eroi della nazione del sol levante secondo la storia, carne fresca per bestie.

 

Bordelli militari

A Nanchino, l’assedio persiste più a lungo del previsto, il combattimento dura feroce per due mesi, non due giorni come previsto.

Nanchino soccombe. I soldati giapponesi stanchi, irritati e revanscisti si scagliano sulla popolazione locale. Gli stupri sono di massa, troppi persino per una truppa al fronte. Le autorità giapponesi preferiscono legalizzare i desideri “più maschili” a determinate condizioni.
La legalizzazione dello stupro è un gesto strategico da un punto di vista interno, per il morale delle truppe, ma soprattutto a livello internazionale, a dimostrare che: “ma no, i soldati non fanno cose cattive, guarda, le piccole sono consenzienti!”, aiuta a garantire l’igiene della carne e quindi limitare la possibilità di vedere malattie: un soldato malato marcisce, un’intera truppa marcisce.
Inoltre, il sesso solleva il morale, la fiducia e la forma fisica, quindi le autorità arrivano al punto di annunciare che stuprare una donna cinese o coreana è fisiologico per un soldato, di conforto.
Ogni volta che le donne ne hanno l’opportunità, si suicidano.

 

“Donne di conforto” alla fine della guerra

Il giorno dopo la fine della guerra, l’intero sistema crolla e le ragazze sono “libere”. Sì, tranne quelle che si sono ammalate, che sono mutilate o psicologicamente torturate.
Vale a dire: tutte.
È difficile essere vittima, dover tornare a casa, trovare i tuoi genitori, la tua famiglia, la vergogna nello stomaco, essere respinte dopo essere state schiave sessuali di almeno 50 soldati nemici ogni giorno. Non è degno di una brava ragazza di famiglia. Così molte di loro dovranno prostituirsi di nuovo per sopravvivere. Nel corso degli anni ci si dimenticherà di loro.
È soltanto nel 1991 che un’ex “donna di conforto” coreana rompe il silenzio di quello che si è trasformato in un tabù della guerra. Kim HakSun parlerà e dirà tutto quello che ha passato.
Il primo ministro giapponese di allora si difende appigliandosi ad un blando ma ampiamente supportato negazionismo storico e non accoglie così gentilmente le parole della vecchia signora. Per mezzo secolo, i giapponesi persistono nel dire che le donne di conforto erano tutte felici e volontarie, che non c’erano aspetti coercitivi e che sono state pagate profumatamente, come dimostrano le varie pubblicità sui giornali…
Infine, dopo ulteriori testimonianze, il Giappone cede e confessa: il 18 dicembre 2015, vengono risarcite le ultime sopravvissute sudcoreane. 1 miliardo di yen (7,5 milioni di euro) è la cifra che è stata pagata alle 46 “donne di conforto” della Corea meridionale ancora in vita. Di superstiti cinesi se ne trovano troppe poche per poter dimostrare un abuso.
La “responsabilità” del Giappone rende omaggio solo a poche vittime di questa schiavitù sessuale. Ma bisogna ancora risarcire le ex schiave delle Filippine, della Birmania, della Cina…

Articolo a cura di Francesca Tinelli

Redazione

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