15 Maggio 2024 - 3:19
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Satira, lode all’osceno

Scrivo quest’articolo dopo settimane di riflessione sulla vignetta di Charlie Hebdo del 31 Agosto, quella raffigurante i morti del terremoto schiacciati dai crolli come fossero una macabra lasagna. In particolare lo stimolo decisivo me lo ha dato la mia collega di redazione Giorgia Accettura con un articolo che si schierava convintamente contro la satira dei vignettisti parigini.

L’intento però non è tanto quello di proteggere Charlie Hebdo, giornale di nicchia, quanto quello di difendere la Satira, un’arte antichissima e difficile da padroneggiare, con un’importantissima funzione sociale che non va assolutamente dimenticata. Non è quella di far ridere, chiariamolo subito: lo scopo della Satira non è quasi mai quello di divertire il suo pubblico e anzi possiamo dire che ne è quasi l’antitesi. Posto questo primo e fondamentale chiarimento, provo allora a darvi il mio punto di vista sulla questione, a farvi capire perché secondo la mia personale opinione quella di Charlie Hebdo è stata una vignetta più che lecita e giustificabile.

Partiamo subito con il reale fine che muove la Satira: quello di far riflettere le persone sui problemi contingenti della società, provocando in loro disgusto, sdegno, rabbioso stupore. Lo fa attaccando con dissacrante sagacia la cultura e il senso della decenza dominanti in quel periodo storico, colpendo spietatamente i valori comunemente accettati. Deve causare raccapriccio in chi la osserva, stimolando attraverso questo senso di avversione una riflessione su quanto visto o letto. E’ un invito aspro e raffinato a pensare, a interfacciarsi con l’autore e ad istaurare un dialogo con lui… a capire il suo punto di vista sui problemi della società.

Lo insegna Dante Alighieri durante il suo viaggio nei gironi infernali, ogni volta che ci mostra i dannati torturati senza pietà in base hai loro peccati terreni. Il Sommo Poeta raffigura anime crocifisse a terra calpestate con noncuranza, papi capovolti in buche e flagellati dal fuoco, dannati che giacciono nello sterco umano o costretti a rotolarsi nel fango, dilaniati da una bestia mostruosa. Sono immagini evocative che nella società odierna non hanno certamente lo stesso effetto che potevano avere 700 anni fa, ma immaginate cosa potessero provare i lettori di un mondo dominato spiritualmente e culturalmente da una ferrea fede cattolico-cristiana. Un confronto diretto tra la Satira dantesca e quella di Charlie lo si può fare guardando alla raffigurazione fatta di Maometto. Abbiamo tutti presenti in mente le vignette del giornale sul Profeta islamico, ma tendiamo invece a dimenticare la descrizione fatta dal nostro illustre letterato. Lo si vede infatti confinato nella nona bolgia, mutilato e squarciato in 2 da un demone, spruzzante sangue, con le viscere penzolanti:

“Già veggia, per mezzul perdere o lulla,

com’io vidi un, così non si pertugia,

rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;

la corata pareva e ‘l tristo sacco

che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,

guardommi, e con le man s’aperse il petto,

dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!”

Questa è Satira composta dal più grande autore satirico italiano. Avete riso? Io no, difficile mettersi a ridere davanti ad una descrizione del genere, eppure l’ho trovata comunque fantastica e splendidamente efficace. Personalmente, ad un veloce paragone con le vignette di Charlie, la trovo molto più efferata e disgustosa, molto più irrispettosa della cultura che attacca. Tant’è che tutta la “Divina Commedia” è stata censurata per anni ed è sopravvissuta passando per vie ufficiose ed illegali, avversata dal Regno Pontificio.

E qui sta il secondo punto, per me addirittura più importante dello scopo principale dell’arte satirica. La Satira è un’importantissimo metro di paragone della libertà di pensiero di una data cultura e di un dato tempo: è semplice vantarsi della possibilità di esprimersi e pensare liberamente fintanto che si rispettano la morale comunemente accettata, i valori definiti e codificati della ideologia dominante nella società. La vera libertà di pensiero si misura quando vengono prodotte opere dell’ingegno scomode, alternative all’amalgama uniforme e rassicurante che viene normalmente promossa. In Italia si sono sollevati in tantissimi contro le vignette di Charlie, prima contro quella del terremoto, poi anche contro quelle raffiguranti Cristo e Maometto, ora ritenute ben più gravi e ingiuriose. E non parliamo solo di gente comune, ma anche di politici, giornalisti, intellettuali. Sono arrivate migliaia di mail minatorie al giornale parigino, il web si è scatenato in massa gridando al tradimento. Il comune di Amatrice è addirittura arrivato a denunciare la redazione francese. La reazione di una nazione intera, in parte giustificata proprio perché la Satira non può e non vuole essere per tutti. 

Però è anche una reazione a mio modo di vedere fin troppo esasperata ed enfatizzata, sorda a qualsiasi spiegazione/argomentazione. E fortuitamente viene da una Nazione al 77o posto nella classifica annuale di “reporters without borders” sulla libertà di stampa, subito dietro a Paesi come l’Armenia, il Nicaragua e la Moldavia. Potrà essere un caso, è vero. Eppure queste critiche vengono proprio da quel Paese anestetizzato che considera Crozza e Vauro autori di una Satira aspra e pungente, quando essi sono invece autori di parodia, molto diversa per fini e mezzi dalla prima.

Entriamo più nello specifico quindi. Cosa rappresenta per me, amatriciano (da parte di nonna), italiano ed europeo, quella vignetta? Rappresenta un tentativo di Satira riuscito a metà. 

Da una parte la vignetta si focalizza giustamente e lecitamente sulle reali cause della morte di centinaia di persone, come sottolineato anche dal vescovo di Rieti durante i funerali: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!” La vignetta afferma esattamente lo stesso. Non deride i morti, ma un Paese nel quale un terremoto di magnitudo 6 uccide. Critica l’edificazione edilizia approssimativa, la prevenzione sismica condotta con (probabilmente voluta) sufficienza e i probabili legami riscontrabili con i clan mafiosi di Cosa Nostra nelle aziende aggiudicatesi le gare d’appalto. Consuetudini che si ripresentano nella quotidianità della nostra storia, innegabili e radicate nella nostra mentalità. Tradizioni forti e gloriose del nostro Paese, insomma. Come il cibo, la lasagna.

Qui allora pecca secondo me la vignetta di Charlie Hebdo. Nell’essere banale, scontata, spettacolare e mediatica. Fa un paragone brutale, è vero, ma non sorprendente. Gioca sui luoghi comuni come in tanti hanno fatto prima di lei. E’ una Satira a metà, l’autore sa che farà arrabbiare e non riflettere la maggioranza, che distoglierà l’attenzione dal reale problema. E’ cosciente di provocare sconcerto e clamore mediatico, se ne approfitta. 

Il vero problema è questo, non certo che non faccia sbellicare dalle risate. Non è il mezzo, la dissacrante e offensiva asprezza con il quale vengono rappresentati i morti del terremoto. E’ il fine, quello di far riflettere, non raggiunto e forse non perseguito.

Eppure, nonostante tutto, lodo Charlie adesso più che mai. Lodo un giornale di vignette satiriche che provoca disgusto e ribrezzo, letto da pochissimi. Lodo una Satira riuscita a metà, anche se non fa riflettere e fa solo arrabbiare. Perché? Perché mi sfida continuamente ad essere un uomo libero, a pensare con la mia testa, a ragionare su quanto mi accade intorno, senza i filtri di un’ideologia buonista e dorata.

Lode a Charlie Hebdo, allora. Lode alla ferocia, all’osceno, al disgustoso. Lode alla Satira.

“La Satira è un’espressione che è nata in conseguenza di pressioni, di dolore, di prevaricazione, cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente”

Dario Fo

A cura di Francesco Cocozza

Redazione

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