14 Maggio 2024 - 23:00
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Non uscire dalla stanza

E’ il 1970, anno in cui Iosif Brodsky compone ‘Невыходи из комнаты‘ (Non uscire dalla stanza), poesia che andrà a consacrare il suo definitivo status di poeta dissidente, fattosi più acuto con il successivo esilio del ’72, da cui non farà più ritorno.

Nel corso degli anni ’60 il poeta pietroburghese costruisce la propria nomea sia in madrepatria, per di più grazie a circolazioni clandestine “contrabbandate” nei piccoli circoli letterari di Mosca e San Pietroburgo con l’aiuto di poeti-amici del calibro di Anna Achmatova, che all’estero, attraverso la grande fama suscitata dal suo primo esilio del ’64 nell’estremo Nord della Russia in seguito all’accusa di “Parassitismo sociale”. 

Tornato a San Pietrobrugo nel 1965 a causa di forti pressioni dalla comunità intellettuale internazionale, all’età di 25 anni Brodsky è ormai una celebrità mondiale; i suoi scritti sono tradotti in più di 5 lingue, in Europa ed America viene considerato una delle menti più brillanti del secolo.

Solo nella URSS, disprezzato per la sua duplice natura di Ebreo e contestatore del Partito, Iosif viene più volte ostacolato ed umiliato; seguendo la diagnosi di “Schizofrenia progressiva” (una finta patologia con la quale il Partito riusciva ad eleminare i più vividi oppositori delle sue politiche) viene costretto ad emigrare, nonostante i suoi diversi tentativi di rimanere in patria. 

È dunque un contesto estremamente disilluso quello nel quale viene scritta la poesia “Non uscire dalla stanza”: braccato dai servizi segreti, contrastato nella pubblicazione delle proprie opere, etichettato come “nemico del Popolo”, Brodsky è ormai costretto a casa da una doppia forza centripeta: il chiaro astio professato nei suoi confronti dalla maggior parte delle figure di spicco a governo del Paese, e la ormai quasi totale mancanza di fede verso un’elite che sembra incapace di tendere l’orecchio a voci al di fuori del “coro” del Partito (“La mia canzone era priva di un motivo, ma almeno non la si poteva cantare in coro”, come scrisse nella poesia “Sempre ho ripetuto, che il destino è un gioco”). 

Sono dunque questi due fattori mortificanti, la propria libertà ed il suo relazionarsi con essa il tema su cui il poeta basa la poesia: da un lato la vittima, l’uomo “Idiota”, proiettato verso l’esterno (“hai scritto molte lettere, un’altra sarà di troppo), dall’altra il carnefice, l’uomo “Sordo”, proiettato verso l’interno (“A cosa ti serve ‘Il Sole’ se fumi Shipka?” – qui “Il Sole” inteso anche come la famosa marca di sigarette Солнце‘, letteralmente “Sole”, contrapposto alla marca più scadente “Shipka”), a dimostrazione delle varie facce assunte dalla staticita’.

Come si relaziona l’impossibilità di apertura Sovietica descritta da Brodsky con la clausura imposta dallapandemia di Covid-19?

Partendo da cause opposte – da un lato, una motivazione indotta da un sistema politico repressivo, quindi puramente umana, dall’altra la diffusione mondiale di un virus ben al di fuori (perlomeno nella sua fase evoluta) del controllo umano – l’immobilità generatasi in entrambi i contesti storici ha portato l’uomo allo stesso processo di annichilimento psico-culturale; la differenza fondamentale sta nella “portata” del fenomeno statico: infatti il mondo occidentale, seppure con grandi difficoltà, spesso riuscì ad infiltrarsi e sedurre l’universo Sovietico degli anni di Brodsky, permettendo ad intellettuali e persone comuni (le ultime in misura minore) di relazionarsi con quella parte di mondo mai ferma, e conseguentemente non essere del tutto “in stallo”; situazione del tutto diversa quella della pandemia di Coronavirus, durante cui l’intero pianeta si è scoperto immobile.

Come una gara ciclistica, in cui ogni ciclista segue la scia di quello davanti, motivandosi e dandosi un certo ritmo da seguire, possiamo immaginare il mondo affetto dalla pandemia come un insieme di gareggianti infortunati, ognuno incerto sulla direzione da seguire, incapace di vedere chi lo precede e chi lo segue.

In questo contesto la staticità portata dal Virus sembra avere un impatto ben più serio di quella aspramente criticata dal poeta, poiché “assoluta” (dal latino “ab” e “solutum”, ovvero “sciolta da qualunque vincolo” – il vincolo solitamente imposto dal paragone con altre persone).

Quale sarà la reazione umana una volta finita la pandemia?

Oltre ad un’esasperazione delle interazioni umane e di tutte quelle possibilità precluse dal Covid-19 (come il viaggiare o l’andare al ristorante) l’uomo verrà nuovamente messo di fronte alla sua immensa libertà e conseguente volontà di potenza; resta da stabilire quanto a lungo rimarrà vivido il ricordo nella sua mente.

Articolo a cura di Davide Gobbicchi

Redazione

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