L’informazione nel tempo dei muri: la missione del giornalista  

L’informazione nel tempo dei muri: la missione del giornalista  

È piaciuto un po’ a tutti immaginare un mondo in cui ciascuno, tramite la connessione in ogni angolo del mondo, potesse accrescere la propria consapevolezza su quanto accade nel mondo: condividere notizie, approfondire un argomento, coordinarsi a livello mondiale con chi consacra la propria vita ad un medesimo progetto.

Il web è riuscito a concederci numerosi vantaggi, seppur con pericolosi contrappesi – dalla difficoltà di verifica delle informazioni alla facilità con cui esse possono essere adoperate per sfruttare la credulità popolare. Il mondo dei muri, tuttavia, ha intrapreso una strada ben diversa dal crollo auspicato dai più ottimisti, adottando al contrario numerose strategie con cui è riuscito a mantenere il proprio controllo sulla rete: si pensi alla schiacciante capacità del Governo cinese di censurare le informazioni presenti in rete all’interno della propria nazione. Gli stessi partiti sviluppati su internet non sono riusciti a divenire un autentico portale di democrazia e trasparenza per via delle proprie dinamiche interne e per la loro ridotta capacità materiale. Insomma, l’era che vedeva gli Stati nazionali prossimi alla caduta assiste invece alla loro rinascita sul fronte del controllo dell’informazione e della sua diffusione e accessibilità.

Gli esempi nostrani, purtroppo, non sono assenti e ricalcano un vecchio modo di intendere il rapporto fra potere politico e giornalismo: la notizia di una lista di persone sgradite, inviata dal vicepresidente della Camera dei deputati Luigi di Maio all’ordine dei giornalisti, è qualcosa che fa decisamente riflettere, se non altro perché una personalità impegnata attivamente nella politica nazionale, ha pubblicamente escluso determinati individui dalla possibilità di fare il loro mestiere, di porre domande e pretendere delle risposte.

Ad emergere non è la coesione del movimento, né la forza della propria classe dirigente, bensì la paura di trovarsi nella condizione di non poter più sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni: un rischio che si può cercare di evitare se hai escluso a priori coloro che potrebbero essere non del tutto disposti ad essere indulgenti. La motivazione della presunta campagna diffamatoria, che in alcuni casi potrebbe anche essersi verificata, non nobilita una decisione simile: solamente chi non è libero ha paura della verità.

A rendere il tutto ancor più preoccupante è il fatto che la tendenza a non voler rispondere alle domande di alcuni giornalisti non sia solamente appannaggio del nostro Paese, da sempre invischiato in una relazione complicata con la libertà di informazione: negli Stati Uniti è divenuto eclatante il caso del giornalista della CNN a cui Donald Trump, in una conferenza stampa successiva alla sua investitura, ha negato la possibilità di porre la propria domanda a causa della sua appartenenza ad una testata produttrice di “fake news”, dichiaratamente ostile al candidato repubblicano.

Prima ancora che scenette folkloristiche, si tratta di autentiche rappresentazioni di come il potere oggi si sia pubblicamente appropriato della diffidenza nei confronti di una figura professionale – quella del giornalista – sempre più delegittimata, inglobando questa prassi all’interno della propria pratica corrente. Il giornalista è bugiardo, di parte, per questo è giusto negargli la possibilità di lavorare e di informare. Si stilano liste di proscrizione per le penne scomode, si dà la parola solamente a chi non farà domande troppo difficili e tutto ciò viene percepito come legittimo perché, in primis, si è persa la qualità e la professionalità nel fare il mestiere del giornalista: la mancanza di autorevolezza nel ruolo di chi si occupa di raccontare la realtà, con obiettività e spirito critico, è il più grande e sciagurato risultato conseguito dall’era dell’informazione istantanea, in cui tutti possono spacciarsi per giornalisti cosicché non lo sia più nessuno. Cadendo il principio fondamentale della professionalità del giornalista, ossia la responsabilità per ciò che si pubblica, di fatto si è snaturato il suo ruolo sociale come garante della trasparenza dei processi di potere, che nel mondo di internet è divenuta sempre più labile non solo nelle temute dittature orientali, ma persino qui nel tanto civile Occidente.

I muri che l’informazione combatte, prima ancora che fisici, sono di natura psicologica e culturale, in quanto impediscono a chi ha la missione di raccontare la verità di adempiere al proprio dovere. Se la condanna da parte di tutti è doverosa, il nostro compito come studenti interessati allo strumento giornalistico è recuperare, nel nostro quotidiano, l’etica professionale che troppe volte è mancata.

Il tempo della connessione istantanea non può divenire il tempo della prigionia universale. Il compito del giornalista, ad oggi, è il compito della libertà e, per essere liberi, occorre innanzitutto essere informati.

 

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