14 Maggio 2024 - 11:27
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Breve storia di un idraulico  

Questa estate sono stato circa un mese in un villaggio in Tanzania, nel cuore dell’Africa, per un viaggio di volontariato. Mentre ero li non ho avuto il tempo di condividere con nessuno le emozioni che ho provato e le cose che ho visto, un po’ per pigrizia e un po’ per un forte senso di gelosia e protezione che provo per le mie emozioni.

Adesso però sento l’esigenza di raccontare e di mettere in comunione con voi tutto quel poco che ho capito sull’Africa. Per farlo ho deciso di raccontarvi un singolo episodio, la storia di un idraulico Tanzano e di ciò che bisogna fare in Africa per riparare un lavandino.

Appena arrivati nel villaggio di Wasa, insieme agli altri volontari, decidiamo di fare un sopralluogo nella scuola di carpenteria nella quale avremmo insegnato inglese e matematica per i successivi venti giorni. Oltre a constatare, come ci aspettavamo, che la scuola non fosse un luogo del tutto salubre e igienico, ci rendiamo conto che a quasi tutti i lavandini presenti nella piccola cucina, nel refettorio della scuola e nei bagni mancavano i pezzi di raccordo tra la vaschetta e le tubature, motivo per cui ogni volta che qualcuno li usava si riversavano per terra fiumi d’acqua che ristagnando trasformavano gli ambienti in paludi domestiche.

Convinti che sarebbe stato uno scherzo riparare quei lavandini decidiamo di metterci alla ricerca di un idraulico.

Wasa è, per gli standard della Tanzania, un villaggio mediamente grande di circa 400 persone, si può trovare nel villaggio addirittura qualche negozio che vende bibite o biscotti industriali, ma, a quanto pare, non ha dato natali a nessun idraulico.

Le suore del villaggio  ci informano che poco lontano da Wasa vive un idraulico che spesso passa dal loro orto per innaffiare le piante.

L’idraulico non ha un recapito telefonico e l’unico modo che abbiamo per rintracciarlo è aspettare che passi a dare da bere all’orto delle suore e sperare che queste lo indirizzino da noi.

Passano i giorni ma dell’idraulico manco l’ombra. Qualcuno sostiene che effettivamente sia passato dalle suore ma nessuno lo abbia mandato da noi. Una suora ci dice che è malato, probabilmente di malaria, ma non abbiamo notizie certe.

Dopo una settimana e qualche giorno finalmente fa capolino dal cancello della scuola un uomo con un cappellino rosso, era lui.

È un uomo alto, più alto della media, con dei tratti somatici più etiopi che tanzani, la faccia buona e un po’ smagrita, se aveva avuto davvero la malaria, però, ne era uscito abbastanza bene.

Lui non parla Inglese ma solo Swahili e con l’aiuto dei ragazzi della scuola riusciamo a illustragli il problema. Dopo circa un’ora di lavoro stila la lista dei pezzi che era necessario comprare e ci dice che saremmo dovuti andare a prenderli a Mafinga, una cittadina a circa un’ora di macchina da Wasa.

Il mattino seguente l’idraulico si presenta alla missione come promesso e attende pazientemente che si recuperino macchina e autista per dare inizio alla spedizione.

Dopo un po’ di tempo riusciamo a recuperare la macchina  del prete che ci ospitava nel villaggio con il suo “autista” e partiamo finalmente alla volta di Mafinga.

Arrivati a Mafinga ci basta qualche minuto per trovare il negozio che cercavamo e comprare tutto l’occorrente per riparare i lavandini ma essere in città è un’occasione che non si ripete tutti i giorni e allora ne approfittiamo per fare qualche spesa utile.

Andiamo, con idraulico al seguito, a comprare un po’ di frutta al mercato e poi portiamo il pick-up dal meccanico perché il prete ci aveva chiesto di sostituire dei pezzi.

La riparazione dura molto per cui nel frattempo andiamo a mangiare un po’ di Ugali con l’idraulico, l’autista e il traduttore.

Nel pomeriggio, verso le tre, ripartiamo alla volta di Wasa ma a metà percorso il pick up perde una ruota. Una delle quattro ruote decide di separarsi dal resto del corpo della macchina e di farsi ritrovare solo qualche decina di metri dopo.

Siamo nel mezzo di una strada sterrata vicino a un villaggio fatto da una decina di case di fango e non abbiamo modo di riparare la macchina quindi chiamiamo il prete e aspettiamo pazientemente che qualcuno ci venga a riprendere. Noi eravamo fortemente in imbarazzo con l’idraulico perché, da europei, sapevamo quanto per un lavoratore fosse prezioso il tempo, ma lui era tranquillo e, come tutti noi, diverto dalla situazione, perché in Africa il tempo scorre in maniera diversa e ogni volta che fai qualcosa, qualsiasi cosa tu faccia, sai che devi mettere da parte almeno una giornata per farla. Nel frattempo si fa buio e intorno a noi i villaggi vicini iniziano ad appiccare roghi per bruciare la spazzatura. In questo scenario apocalittico finalmente arriva la macchina incaricata di recuperarci: in otto in una jeep di piccole dimensioni ritorniamo raminghi a casa.

Era Sabato per cui concordiamo con l’idraulico che ci saremmo visti il lunedì successivo per riparare i lavandini.

Il lunedì arriva ma l’idraulico no, allora andiamo nuovamente dalle suore che ci dicono che non sarebbe venuto perché gli era morto un parente. Il giorno dopo lo incontro per caso nel villaggio e dopo avergli fatto le condoglianze concordiamo che ci saremmo visti il mercoledì.

Mercoledì mattina non si presenta nessuno ma abbiamo notizia, sempre dalle suore, che era in un cimitero vicino al villaggio a dare una mano a seppellire una persona, non si capisce bene se fosse la stessa che era morta il lunedì ma sembrerebbe di no, però ci dicono che sarebbe venuto nel pomeriggio. Non potevamo più aspettare perché il giorno dopo saremmo ripartiti per tornare in Italia.

Per fortuna il pomeriggio arriva e con questo anche l’idraulico che in un paio di ore di lavoro sistema i lavandini, se ne va senza passare da noi e lascia alla suore l’onere di presentarci il conto: Ventimila scellini tanzani che, secondo il cambio corrente, sono otto euro e diciassette centesimi: otto euro e diciassette centesimi per un lavoro che all’idraulico è costato complessivamente venti ore del suo tempo.

Da questa storia ho imparato che il problema dell’Africa è il tempo: se per riparare un lavandino ci vogliono venti giorni, quanto ci vorrà per industrializzare il paese? Quanto ci vorrà per migliorare le condizioni igieniche e sanitarie? E, infine, quanto ci vorrà per le conquiste sociali?

Ho imparato anche un’altra cosa: In Africa la gente muore, e quando muore il tempo smette di scorrere per un po’ e poi ricomincia come prima, più lento di prima.

 

A cura di Stefano Castellana Soldano

 

 

Redazione

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