26 Aprile 2024 - 5:25
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Sinfonia n°2: il canto del cigno dell’Ottobre russo

E’ il 25 ottobre del 1917 quando le truppe bolsceviche assaltano il palazzo d’Inverno. Una mattina uggiosa, le nuvole coprono il cielo, una coltre di rugiada brilla sulle vetrate gelide. L’armonia della mazurche e delle polche si trasforma in un ballo scriteriato. Un sogno scarlatto che sorge dalle periferie e avvolge il Cremlino, un sogno che disdegna i rubli, l’epicentro di un cambiamento che non è né rivolta, né ribellione ma rivoluzione.

La rivoluzione è per antonomasia un cambiamento radicale nelle strutture sociali che non si riduce a mutarle ma si spinge a sovvertirle. La rivoluzione d’Ottobre coincide dunque con la liberazione caotica e disordinata dei germi dell’insoddisfazione e delle disparità sociali, accompagnati dalla bramosia di rimescolare le rigide e asfissianti gerarchie che intrappolano il dinamismo della società. Lapalissiano è, che un evento di tale portata generi una contrapposizione tra chi gioverebbe della rivoluzione e chi ne risulterebbe d’altra parte danneggiato. Ciò che la storia ci ha insegnato resta valido comunque. Una rivoluzione per quanto controversa, genera entusiasmo e fiducia ma è soltanto nell’appagamento di quest’ultima che la Rivoluzione manifesta il suo successo o in assenza di esso l’inesorabile fallimento. Se dovessimo immaginare una colonna sonora della Rivoluzione d’Ottobre fatalmente si succederebbero i vari Prokofiev, Korsakoff e Shostakovich, ma se dovessimo scegliere un brano specifico che riassuma nella maniera più efficace possibile quello che è il sogno, probabilmente illusorio, dell’Ottobre russo, la scelta ricadrebbe quasi sicuramente su Sinfonia n°2. Un brano carico di forza, ritmo, dove la barriera tra sogno e realtà è facilmente eludibile. Un pentagramma di emozioni, che lascia trapelare tra le note su di esso incastonate un sentimentalismo autentico.

Shostakovich nasce il 25 Settembre del 1906 a San Pietroburgo e muore a Mosca il 9 Agosto del 1975. L’arco della sua vita comprende la Rivoluzione d’Ottobre, la guerra civile, gli orrori dello stalinismo. La sua vita è una retta che segue gli eventi dell’antica Rutenia ed è da questi eventi che rimane influenzato. Le sue poderose sinfonie sono il risultato del suo amalgamarsi con gli eventi che vive in prima persona e le sensazioni che ne derivano abbinano ad una chiara soggettività un’intrinseca autenticità.

“Sono un compositore sovietico e vedo la nostra epoca come qualcosa di eroico”.

“Considero che qualsiasi artista che si isoli dal mondo sia condannato”.

Chiunque ascolti le sue sinfonie attentamente può trarre una profonda visione di cosa significò vivere gli avvenimenti tremendi e ispiratori che il popolo sovietico attraversò dal 1917 agli anni ’70.

Ecco perché egli si dica rappresenti la Coscienza musicale della rivoluzione russa. Shostakovich è figlio della rivoluzione ed in essa crede in un maniera spassionata e autentica tipica dei ragazzi: il suo repertorio di sinfonie giovanili mirano a sacralizzare tale evento ed è indossando le vesti del compositore che cerca di dare il suo contributo trasponendo il sogno dei tanti sovietici che come lui  nel 25 Ottobre intravedono uno squarcio cangiante sul sipario dell’Impero zarista. Ma come la rivoluzione, la sua vita abbina all’iniziale illusione la relativa amara delucidazione. Gli orrori staliniani e l’avvento di un totalitarismo che esercita un’influenza non solo sull’economia ma anche sulla cultura,  ispirano in Shostakovich una musica mesta, dove l’armonia, per quanto rigorosamente apprezzabile, suscita una rassegnazione definitiva.

La parabola della rivoluzione vede in Sinfonia n°2 il punto dove gli ideali bolscevichi raggiungono il loro apice, salvo poi andare in contro ad un inesorabile declino.

Soltanto chi spera può rimanere deluso, ma soltanto chi spera può apprezzare gli agrodolci connotati dell’oggetto della sua aspettativa.

Questo significa che solamente chi crede negli ideali bolscevichi possa apprezzare Shostakovich? Forse no. Più probabilmente è soltanto con Shostakovich che i suddetti ideali possano essere intesi in quanto tali. Nella loro totalità.

La rivoluzione, parola di Kamenev, vede una metamorfosi degli abulici servi della gleba in asserviti fedeli al partito comunista ed è nel rinnegare i propri ideali che in qualche modo li redime. E’ il 1975 quando Shostakovich muore. Spira fedele ai propri ideali, deluso da una sistema che li ha fraintesi. Egli non rinnegò mai la rivoluzione e nella disillusione di quest’ultima vive un dramma personale sincero, troppo idealistico forse ma tutt’altro che fittizio. La Russia è cambiata e con essa il suo popolo. Ma la domenica sera al Bolshoj sembra tornare indietro, gli archi che torturano le corde, il crescendo del clarinetto, la  sinfonia n° 2 che risuona tra le platee. Una tuba e poi il silenzio. Una parentesi di passato, un sempre inedito monito del fallimento socialista. Il canto del cigno dell’Ottobre russo.

 

A cura di Matteo Mariani

Redazione

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