Perché la Corte Costituzionale ha annullato la decadenza della Todde

Mercoledì 15 ottobre 2025 la Corte Costituzionale ha annullato – all’esito di un conflitto di attribuzione
sollevato dal consiglio regionale – la decadenza della presidente Alessandra Todde, imposta e rimasta in sospeso dal lontano 3 gennaio 2025, giorno di deposito della “ordinanza/ingiunzione” da parte del Collegio di garanzia elettorale.
La questione è molto tecnica, complicata ma probabilmente entusiasmante per gli addetti ai lavori: il Collegio di garanzia elettorale – organo avente sede presso la corte di appello di ciascun capoluogo – nel dicembre 2024 aveva ritenuto che la presidente Todde dovesse essere sottoposta a decadenza per aver violato la legge 515 del 1993, recepita nello statuto regionale sardo dalla legge n.1 del 1994. Le furono contestate sette mancanze per quanto riguarda le spese della campagna elettorale, riguardanti erronee dichiarazioni di spesa e su tutte, la mancata nomina di un mandatario.
Mancanze che, secondo il Collegio regionale di garanzia, avrebbero dovuto portare il consiglio regionale a emettere il provvedimento di “decadenza” dalla carica di Presidente della Regione Sardegna, oltre a una multa di 40.000 euro a titolo di sanzione amministrativa.
Il consiglio regionale e Alessandra Todde hanno deciso di agire su due fronti diversi e contemporanei: con un ricorso al tribunale civile, e sollevando un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale.
Ma la legge cosa dice effettivamente?
All’articolo 15 della legge 515/1993, rubricato “Sanzioni”, vengono disciplinati una serie di casi. Dal comma 1 al 6 si parla di diverse violazioni sanzionate solo da sanzioni pecuniarie; sono invece il comma 8 e 9 a parlare di “decadenza della carica”, in due soli casi: mancato deposito a seguito di diffida ad adempiere e superamento dei limiti massimi di spesa per un ammontare pari o superiore al doppio. Le sette violazioni contestate del Collegio di garanzia alla Todde riguardano tutte la violazione dei commi 3,4 e 6.
Ma allora perché il Collegio l’aveva fatta decadere? Perché a creare confusione sarebbe proprio il comma 7, nel mezzo dell’articolo, posto tra le sanzioni pecuniarie e le cause di decadenza.
“L’accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo, costituisce causa di ineleggibilità del 1 candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo con delibera della Camera di appartenenza.”
È proprio questa disposizione a creare incertezza: risulta ridondante, essendo già le sanzioni previste per ogni violazione contenute alla fine di ogni comma. Perché ribadire che la violazione delle norme comporta la decadenza? E soprattutto, la violazione si intende di tutte le norme o solo di quelle che seguono, per cui è espressamente prevista la decadenza?
Si crea un paradosso per cui se il comma 7 non esistesse, nessun dubbio ci sarebbe in merito alla sanzione collegata ad ogni violazione e alla tassatività delle cause di decadenza.
Il tribunale prima e la Corte poi si sono espressi: il primo si è limitato a rigettare il ricorso, confermando la multa e facendo “spallucce” sulla questione decadenza, specificando però due cose importanti: in primis che la decadenza è prevista dal legislatore in solo due ipotesi tassative, previste dall’art.15 (tesi che poi ribadirà la Corte Costituzionale); poi, chiarendo che “non rientra nella competenza del Collegio di
Garanzia né in quella del Tribunale adito (…) pronunciare l’eventuale decadenza della
ricorrente”.
La Corte, con la sentenza 148/2025, ha invece ANNULLATO l’ordinanza-ingiunzione dichiarando con la consueta formula che “non spettava (…) al Collegio regionale di garanzia elettorale di affermare (…) che «si impone la decadenza dalla carica del candidato eletto»”.
Dopo aver opportunamente chiarito che “sono applicabili anche per la elezione del Presidente della Regione autonoma della Sardegna le norme sulle spese della campagna elettorale dettate dagli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993”, e aver rigettato tutte le questioni di carattere procedurale, ha definitivamente fatto chiarezza, affermando che lo spirito della legge appena citata, poiché riguarda il fondamentale diritto di elettorato passivo, debba essere interpretata quanto più restrittivamente possibile.
In poche parole, nessuno può assumersi il potere di dichiarare decaduto un consigliere regionale (e in quanto tale anche il Presidente della giunta) al di fuori delle due ipotesi tassativamente previste dalla legge: oltre quelle, nulla.
Leggendo attentamente il famoso comma 7 la frase “nei casi espressamente previsti nel presente articolo” non sembrerebbe essere passibile di interpretazione estensiva, eppure, il Collegio di garanzia – tramite il suo legale – non sembra mollare la presa facilmente: nella memoria depositata in data 17 ottobre l’avvocato Fercia sostiene che la Corte si sia semplicemente limitata a restituire parola al tribunale civile in merito alla decadenza, equiparando il rendiconto errato al mancato rendiconto, sulla base di una sentenza della
Cassazione del 2017.
Ma la domanda, a questo punto, sorge spontanea: se fosse così, e se è vero — come è vero — che l’articolo 8 parla di decadenza per mancato deposito a seguito di diffida, come potrebbe la Todde decadere senza averne ricevuta alcuna? Sarebbe paradossale. Ad ogni modo, chi vivrà vedrà.

