Rassegna Politica – 43° settimana

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Scontro Meloni-Landini: la parola “cortigiana” accende la polemica politica
Duro scontro verbale tra la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Al centro della polemica, il termine “cortigiana” usato dal leader sindacale durante la trasmissione “Di Martedì” su La7 per descrivere la vicinanza politica della premier all’ex presidente statunitense Donald Trump.
La reazione di Meloni non si è fatta attendere. Sui social, ha accusato Landini di essere “obnubilato da un rancore montante”, pubblicando la definizione del termine da dizionario – “donna dai facili costumi, prostituta” – per evidenziarne la gravità. La premier ha poi allargato la critica all’intera sinistra, accusandola di ipocrisia.
Dal canto suo, Maurizio Landini ha respinto le accuse, negando qualsiasi insulto sessista o rancore. In una nota, ha precisato di aver chiarito subito il senso delle sue parole durante la stessa trasmissione, spiegando che l’intenzione era esprimere un giudizio politico. Il significato, ha ribadito, era che la premier è stata, “alla corte di Trump”, agendo come una sua “portaborse” e dimostrando una mancanza di autonomia del governo italiano sulla scena internazionale.
polemica ha visto anche l’intervento del vicepremier Antonio Tajani, che ha definito “incommentabile e “sessista” il linguaggio di Landini, offrendo piena solidarietà alla premier.
L’episodio si inserisce in un contesto di crescente tensione tra governo e sindacati, con la parola del leader Cgil pronunciata in risposta a una critica di Meloni sugli scioperi generali, definiti dalla premier inutili per la causa palestinese e dannosi per i lavoratori italiani.

Tassa sulle banche, caos nella maggioranza
Nella maggioranza di governo la nuova tassa per banche e assicurazioni inserita in legge di bilancio, ha generato ulteriori tensioni. Mentre il leader della Lega la celebra come una “Robin Hood Tax per le banche”, mentre il segretario di Forza Italia nega l’esistenza di un prelievo sugli extraprofitti. Questa comunicazione discordante cerca di nascondere una realtà complessa per l’intera coalizione di centrodestra.
Di fatto, il governo punta a incassare 4,5 miliardi di euro dal settore finanziario attraverso due misure principali. La prima è un aumento di due punti dell’aliquota Irap, un’imposta che tutti i partiti di governo – da Fratelli d’Italia alla Lega, passando per Forza Italia – avevano promesso in campagna elettorale di voler abolire, definendola “iniqua”.
La seconda misura, più contorta, mira a tassare le riserve che le banche avevano accantonato nel 2023 per evitare il prelievo sugli extraprofitti. Il governo ha introdotto un meccanismo che incentiva fortemente gli istituti a sbloccare tali riserve e pagare un’imposta, rendendo di fatto il contributo ben poco “volontario”.
In questo scenario, la premier Meloni cerca un equilibrio per non apparire punitiva verso il sistema bancario. Tajani, deve giustificare una misura che contraddice decenni di propaganda liberale del suo partito e che colpisce gli interessi della stessa famiglia Berlusconi, azionista di rilievo in Banca Mediolanum. La vicenda, al di là dei tecnicismi, espone le profonde contraddizioni ideologiche della maggioranza.

Centrosinistra campano: continuano le tensioni tra Fico e De Luca
Il clima politico in Campania si fa incandescente in vista delle prossime elezioni regionali, con il centrosinistra in subbuglio. La difficile coabitazione tra il candidato presidente Fico (M5S) e il governatore uscente De Luca (PD) sta creando profonde fratture nella coalizione, aprendo praterie per il centrodestra.
A lanciare lo scoop è Clemente Mastella. Il sindaco di Benevento, forte di un pacchetto di voti stimato in centomila preferenze, esprime apertamente la sua insofferenza per il “bisticcio continuo” tra i due leader, avvertendo che questo potrebbe compromettere la vittoria. Inoltre, Mastella rivela di essere oggetto di un intenso corteggiamento da parte di esponenti di Fdi e FI.
Il malcontento non è solo verbale, ma si sta traducendo in un vero e proprio esodo di amministratori locali dal perimetro deluchiano verso il centrodestra. Sotto la regia di Fulvio Martusciello, FI sta portando tra le sue fila assessori regionali, consiglieri e decine di sindaci; migrazione che indebolisce la base di consenso del centrosinistra e rafforza il candidato del centrodestra, Edmondo Cirielli, descritto come sempre più convinto della rimonta.
La tensione è alimentata anche dalle dinamiche interne: De Luca, pur sostenendo Fico, lavora per mantenere la sua influenza, presentando una lista civica e pretendendo di indicare futuri assessori chiave. Fico, dal canto suo, fatica a imporsi, stretto tra la necessità di non rompere con l’alleato e la volontà di imporre un “codice etico” che spaventa parte dell’establishment locale. Una sconfitta in Campania rappresenterebbe un colpo durissimo per la leadership nazionale di Elly Schlein e Giuseppe Conte, trasformando una competizione regionale in un potenziale terremoto politico nazionale.

Scambio di accuse tra Meloni e Schlein
Lo scontro politico in Italia si infiamma e assume i toni di un duello frontale tra la premier Giorgia Meloni e la segretaria del PD, Elly Schlein. In un’aula parlamentare surriscaldata alla vigilia del Consiglio Europeo, le due leader si sono scambiate accuse durissime.
Al centro del contendere, le parole pronunciate da Schlein al congresso del PSE, dove ha espresso preoccupazione per lo stato della democrazia sotto i governo di destra. Per Meloni si tratta di dichiarazioni «gravissime, che gettano ombre e fango sull’Italia”, danneggiandone la reputazione e la credibilità all’estero, con possibili ricadute su investimenti e accordi commerciali. Un’accusa di lesa patria a cui la premier ha aggiunto la critica a chi, a suo dire, danneggia l’immagine nazionale per calcolo politico.
Durissima la replica della leader dem, che ha spostato il focus sulla politica estera, accusando la premier di essere “succube di Trump e di avergli di fatto delegato la politica estera di questo paese”. Schlein ha inoltre contestato i risultati del governo sul piano economico, sottolineando come per gli italiani, alle prese con “aumento di tasse e lavoratori poveri”. Lo scontro si è esteso anche alla visione dell’Europa, con Schlein che ha criticato la contrarietà di Meloni al superamento del diritto di veto, mossa che favorirebbe alleati come Orbán. La distanza tra le due leader appare ormai siderale, trasformando ogni dibattito parlamentare in un confronto personale e ideologico senza esclusione di colpi.

Lega-Vannacci, alta tensione sui “team” del generale: il partito fissa i paletti
Cresce la tensione all’interno della Lega sul ruolo e l’autonomia di Vannacci e della sua rete. Il Consiglio Federale del partito ha inviato un messaggio chiaro, seppur non esplicito, al suo eurodeputato nonché vicesegretario: le associazioni che affiancano il Carroccio sono benvenute”, ma a condizione che non si trasformino in una “realtà politica alternativa”. Un monito che, secondo fonti interne, è diretto proprio ai Vannacciani, i comitati territoriali nati sotto l’egida dell’associazione “Il Mondo al contrario”, fondata dal generale.
La mossa del vertice leghista mira a contenere la crescita di una struttura parallela che rischia di sfuggire al controllo del partito, alimentata dal forte consenso personale di Vannacci. La risposta del diretto interessato, tuttavia, non è stata di sottomissione. Pur auspicando che i membri dei suoi team che vorranno candidarsi lo facciano con la Lega, data la sovrapponibilità di principi, Vannacci ha ribadito con forza la loro piena legittimità a presentarsi alle elezioni.
Sminuendo le notizie di uno scontro (“Non mi fido di certa stampa”), il generale ha confermato la sua intenzione di proseguire sulla propria strada: “Vado avanti più determinato e con più entusiasmo di prima”. Ha inoltre sottolineato la rapida espansione della sua rete, che conta già 170 comitati attivi e punta a raggiungere i 200 entro fine anno. L’episodio svela una crepa evidente nel partito di Matteo Salvini: da un lato la volontà di capitalizzare la popolarità di Vannacci, dall’altro il timore che la sua creatura organizzativa possa diventare una corrente autonoma, con un’agenda e ambizioni proprie, minando la coesione interna della Lega.

A cura di Greta Sonnoli

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