Larger than life

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Gli 80 anni di Lula, tra voli imprevedibili e ascese velocissime

È il 13 marzo del 1979. In Brasile c’è la dittatura militare. Gli scioperi — ostacolati in ogni modo — iniziano a moltiplicarsi: a fine anno se ne conteranno 246 in tutto il Paese. Si sciopera contro i salari da fame, contro il sindacalismo “pelego”, cioè controllato dallo Stato, contro il regime in generale. A muovere le masse c’è un giovane di anni trentatré, settimo di otto figli in una famiglia molto povera e analfabeta. A dodici anni aveva già cominciato a lavorare come lustrascarpe e a diciannove, in un incidente in fabbrica, perde il mignolo della mano sinistra. Lui si chiama Luiz Inácio da Silva, ma tutti lo conoscono come “Lula”, ed è il presidente del sindacato dei metallurgici. In uno stadio di calcio organizza il primo grande sciopero generale: più di 60.000 lavoratori occupano il campo e le gradinate. In mancanza di un palco e di un impianto audio, Luiz da Silva detto Lula si arrampica su un tavolino e utilizza un megafono per parlare. Le sue parole vengono ripetute dai lavoratori più vicini a quelli più lontani, fila per fila, come fosse il gioco del telefono. Nonostante la repressione e l’intervento del governo nei sindacati, lo sciopero durerà due settimane e il sindacato otterrà un aumento salariale del 63%. Resterà la più grande conquista salariale di quel periodo. Sarà solo la prima delle tante grandi tappe che scandiranno la vita pubblica e politica di quello che è stato a ragione definito dal New York Times come “il più importante statista latino-americano di questo secolo”: tre volte presidente della Repubblica in Brasile, dal 2003 al 2011 ininterrottamente, e poi di nuovo dal 2022. Ma quanto traffico nel mezzo.

Durante i primi otto anni del suo mandato, “O Presidente” ha il vento in poppa: sotto il suo segno il Brasile cresce a ritmi impressionanti (una media del 4% annuo), e la sinistra non ha paura di fare la sinistra: la povertà diminuisce, la ricchezza viene redistribuita per davvero e decine di milioni di brasiliani vedono le loro condizioni di vita migliorare. Viene lanciato il progetto Fome Zero, con uno slogan molto chiaro: “Tutti i brasiliani devono permettersi almeno tre pasti al giorno”. Al termine del suo mandato Lula godrà di un consenso dell’83%. Obama nel 2009 durante il G20 lo definirà come “il politico più popolare al mondo”. 

Impossibilitato a ricandidarsi dopo due mandati, lascerà il testimone a Dilma Rousseff, e nel 2016 arriverà il buio: indagato per corruzione nella “Operazione Lava Jato” con l’accusa di aver ricevuto denaro dalla società petrolifera Petrobras, viene condannato nel 2017 a nove anni e mezzo di carcere, che in appello diventeranno 13. Il giudice che lo condanna si chiama Sergio Moro, e di lì a poco diventerà ministro della giustizia del governo Bolsonaro. Lula si consegna alla polizia nel 2018, portato in spalla dai suoi sostenitori. In carcere passerà 580 giorni: un incubo che durerà fino a quando la Corte Suprema brasiliana lo proscioglierà definitivamente, il 7 marzo 2021, sottolineando che il processo contro Lula non dovesse “neanche iniziare”.

Risorge di nuovo, ritorna candidabile nel 2022 e vince, per la terza volta, le elezioni. Questa volta contro Jair Bolsonaro, che sulla vicenda Lava Jato aveva fatto le sue fortune politiche. Il diversamente democratico Bolsonaro, dopo la sconfitta, orchestrerà contro Lula un colpo di stato. Il piano è quello di uccidere lui, il suo vice Geraldo Alckmin e il presidente della Corte Suprema Alexandre de Moraes. L’8 gennaio 2023 i suoi sostenitori assaltano il Congresso, il Palazzo del Planalto e la Corte Suprema. Ma Lula non muore nemmeno questa volta: la trama golpista fallisce, grazie alla resistenza esercitata dai comandanti dell’esercito e dell’aeronautica, e Lula rimane il legittimo presidente. Sarà il suo nemico, Bolsonaro, a finire in carcere, condannato a 27 anni e 3 mesi per tentativo di colpo di stato. “La nostra democrazia e la nostra sovranità non sono in vendita”, dichiarerà, in merito alle tentate ingerenze USA nel processo a Bolsonaro, amico e alleato storico di Trump. E a dirla tutta, al giorno d’oggi il presidente brasiliano sembra essere uno dei pochi leader mondiali ad aver capito come affrontare Trump senza farsi sbranare dallo squalo in arancione. Come? A viso aperto, senza intimorirsi alle minacce di dazi, senza piegarsi al gioco dei diktat e delle umiliazioni. Annunciando ritorsioni economiche. “Il Brasile va rispettato (…) Trump è stato eletto per governare gli Stati Uniti, non per governare il mondo”. E così il tycoon, capito di non avere grandi margini di prevaricazione, ha tentato di assumere dei toni conciliatori, quasi amichevoli. Proprio ieri, nel bilaterale a Kuala Lumpur,  ha riconosciuto al Brasile il ruolo di interlocutore importante e privilegiato con cui “raggiungere presto alcuni accordi”. Touché.

Si arriva così a oggi, 27 ottobre 2025: Lula compie ottant’anni, o almeno così pare, visto che allo stato civile risulta essere nato il 6 ottobre, ma lui ha sempre preferito utilizzare la data che ricordava sua madre. Ottant’anni. Di voli imprevedibili e ascese velocissime, canterebbe qualcuno. Sempre oltre tutto: oltre il carcere, oltre gli attentati, oltre la perdita di due mogli in circostanze dolorosissime. Proprio la settimana scorsa, “O Presidente” ha annunciato di volersi candidare alle elezioni del 2026, per quello che sarebbe il suo quarto mandato, fino al 2030. “Ho l’energia di quando avevo trent’anni”, ha dichiarato. I sondaggi, come sempre, sembrano essere dalla sua parte. E se un domani il tempo si fermerà a ricordare quest’uomo piccoletto, barbuto, dal tono di voce inconfondibile e dal carisma magnetico, lo farà per ricordare il messaggio di vita che Lula e la sua storia portano con sé: domani è un altro giorno.

1 Comment

  1. Giorgio

    Il tuo stile narrativo , preciso e documentato, arriva al cuore dell’argomento e del lettore. Forse sono di parte , ma per me vale così .

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