19 Aprile 2024 - 10:34
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Venezia 72: Anomalisa

Conosciamo Charlie Kaufmann come sceneggiatore e regista di opere innovative capaci di imprimersi nella mente lasciando aperte sane domande di vita; tra i suoi titoli più famosi ci sono “Essere John Malkovistch”, “Il ladro di orchidee”, “The eternal sunshine of a spotless mind” (poco felicemente tradotto in italiano con “Se mi lasci ti cancello”), oppure il più recente “Synechdoche, New York” (in cui recita uno dei suoi ultimi ruoli prima della prematura scomparsa Philip Seymour Hoffmann)

Ora lo ritroviamo alla ribalta veneziana affiancato da Duke Johnson, esperto di stop-motion con un lungometraggio animato che concorre nell’ambito di “Venezia’72” presentandosi come un’anomalia all’interno della principale categoria di concorso. Il lavoro sorprendente per l’abbinamento di forma e contenuti si intitola, non a caso, “Anomalisa”. Tratto dall’omonima pièce tatrale scritta, da Francis Fregoli (pseudonimo dello stesso Kaufmann), l’opera è stata realizzata grazie ad una compagnia di crowdfounding portata avanti con successo sulla piattaforma Kickstarter, che ha permesso in poco tempo di raggiungere le cifre necessarie per preservare la sceneggiatura originale da probabili ingombranti ingerenze dell’Hollywood-industria.

La storia ruota attorno a Michael Stone (David Thewlis) affermato studioso di tecniche per migliorare i servizi offerti dalle azienda alla clientela, motivatore di successo e autore di best seller sul tema, che vive una vita incapsulata nella routine di lavoro, tra gli agi di un successo facile ma opaco e una famiglia esemplare ed inutile. Michael possiede il necessario ma è vuoto, inquieto, ricerca o è ricercato da qualcosa cui non riesce ad assuefarsi. In viaggio di lavoro a Cincinnati per tenere una conferenza in cui spiegare le tesi principali del suo libro, incontra Lisa, donna semplice, tutt’altro che perfetta sia fisicamente che caratterialmente, ordinaria al limite dell’anonimia, sua accanita fan, l’unico personaggio femminile del film doppiato da voce femminile (Jennifer Jason Leigh) e non maschile. In lei Michael ritrova l’amore, il desiderio, il sesso, la voglia di futuro; in una notte si amano, si fanno promesse, progettano una nuova vita, e trasformano un semplice, anonimo, clandestino week-end di lavoro nel giardino della vita che hanno sempre desiderato. Durerà questo piccolo, normalissimo, eccezionale idillio?

La luce del giorno rivela le cose per come sono e non per come dovrebbero essere, la verità sotto il sole a volte annega, a volte viene a galla. Tutto è un bilico costante, costruito attorno ad un equilibrio di pulsioni ovviamente contrastanti, credere e voler credere, resistere o lasciar andare, vivere o credere di vivere. Sono questioni filosofiche, esistenziali, evocate con pochi tocchi arguti: i volti che si smontano come pezzi meccanici, le voci che si deformano, gli ambienti che si smisurano, una fotografia di luce soffusa che viene elargita e sequestrata come in un sogno ad occhi aperti. Emerge la necessità umana di possedere più tempo, altro tempo e insieme spazi diversi dove ritrovare e riconoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Tanti i temi racchiusi in questa piccola intensa storia, che risulta incredibilmente realistica, seppur girata in stop-motion, eccezion fatta per i tratti facciali, strutturati come una maschera robotica che racchiude il viso di ogni carattere, ossia il suo segreto, la verità mai detta.

I personaggi sono goffi ed estremamente teneri, oscillano dalla fragilità completa alla spudoratezza innocente, dalla realtà che vivono ad una trasognata, o allucinata sintomo di una visione del mondo più complessa e sfaccettata. Toni e registri sono semplici e arditi, ironici e umanissimi, tipici di un cartone animato atipico, rivolto ad un pubblico più che adulto e vaccinato; la regia schiva i preamboli e guida dritto al punto, evocando lo smarrimento con quella speciale capacità di manipolare il mondo raccontato che Kaufmann ha: niente è solo ciò che appare, fino all’ultimo; perchè siamo degli esseri intraducibili e perchè di ogni esperienza è diversa la percezione, l’attesa e il fatto compiuto. Quante realtà ci sono e quante vorremmo poter vivere? Quanto si può barare con il tempo? Quanto a lungo può reggere un mondo in cui vediamo solo quello che vogliamo vedere? Quante sono, allora, le chances di essere felici e quante quelle di abituarci, se mai possibile, all’infelicità? Dietro c’è un universo di risposte. Kaufmann Sembra suggerire la sua: la felicità è un attimo di sogno; sogniamolo e facciamone tesoro, non programmi perchè non è nella sua natura; lei è sorprendente e più grande di noi: viaggia altrove in parallelo e non ci perde d’occhio. La felicità è un’anomalia del sistema: lasciamoci manipolare e potremmo prender vita davvero.

di Flavia G. De Lipsis

Redazione

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