26 Aprile 2024 - 0:41
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The Stolen Generation: Genocidio incompiuto?

Con il termine “Stolen generation”, ovvero “generazione rubata”, si fa riferimento ai circa 100 mila bambini aborigeni che tra il 1910 e il 1970 in Australia vennero strappati con la forza alle proprie famiglie dalla polizia o da assistenti sociali e fatti crescere sotto la custodia dello Stato, delle missioni cattoliche o affidati a genitori adottivi non indigeni con la motivazione di una più adeguata “protezione morale”.

Parlare le proprie lingue e praticare le proprie cerimonie venne proibito. Furono portati lontano dalla propria terra, alcuni di loro addirittura oltremare. Ai genitori non venne detto dove fossero i loro bambini e non poterono mai più rivederli. Il cibo e le condizioni di vita erano miseri, subirono maltrattamenti e violenze fisiche, non ricevettero un’istruzione adeguata e per loro fu costruito un futuro di lavori di bassa manovalanza, come domestici o contadini nelle fattorie degli australiani non indigeni. Prove documentali, come articoli giornalistici e resoconti di commissioni parlamentari, cercarono di giustificare questa pratica come necessaria al fine di proteggere il bambino dal contesto originario, dentro al quale sarebbe certamente morto prematuramente.

Si dibatte, ancora oggi, sul numero di bambini rapiti, le varie ipotesi convergono comunque verso un numero compreso tra le 50.000 e le 100.000 unità (Bringing Them Home Report, 1997).

Sin dai primi insediamenti, coloni europei rapirono bambini indigeni da impiegare come servi domestici, partendo dall’assunto che avrebbero vissuto una vita migliore stando a contatto con “gente bianca”. La pratica divenne sistematica dall’inizio della fase della “Protezione”.

Dalla fine del XIX secolo, tutte le giurisdizioni australiane introdussero legislazioni facilitanti la rimozione forzata dei bambini indigeni, intenzione centrale della politica di protezione.

Il Protettore Capo dell’Australia Occidentale, Neville, teorizzò che il colore della pelle era la chiave per l’assorbimento. I bambini dalla pelle più chiara sarebbero stati automaticamente accettati nella società non indigena e avrebbero perso la propria identità aborigena. Neville espose la propria idea di “assorbimento biologico” dell’etnia aborigena, da subito ampiamente condivisa da altri prominenti amministratori, nel 1937, in occasione della Conferenza dei Protettori Federali e Statali degli Aborigeni. Negli anni ’90, la storia della separazione dei bambini indigeni giunse a conoscenza dei ricercatori grazie al lavoro di storici come Peter Read e di organizzazioni quali il Segretariato Nazionale per la Protezione dei bambini Aborigeni e Isolani.

Una Commissione d’indagine, istituita dal Governo australiano nel 1995, nel 1997 pubblicò il rapporto “Bringing Them Home Report” in cui la sottrazione forzata dei bambini indigeni veniva documentata e definita come una grave violazione dei diritti umani. Per la prima volta si affermava che la sottrazione forzata dei bambini era stata una discriminazione razziale – perché applicata solamente ai bambini aborigeni – e un atto di genocidio per il trasferimento forzato di un gruppo di persone ad opera di un altro gruppo con l’intenzione di distruggerlo. La Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio del 1948, all’art. 11 fornisce varie caratteristiche nella definizione del delitto di genocidio, tra cui “Forcibly transferring chindren of the group to another group”.

Il processo di consultazione e ricerca dell’inchiesta rivelò che la motivazione principale delle rimozioni sistematiche dei bambini aborigeni fu quella di assorbirli o assimilarli nella vasta comunità australiana, al fine di far sparire quelle caratteristiche etniche e culturali, e sostituirle con quelle “più adeguate” della cultura occidentale. In altre parole, l’obiettivo fu la disintegrazione totale delle istituzioni politico-sociali, della cultura, del linguaggio, della religione e dell’economia della popolazione indigena.

Immediatamente dopo la pubblicazione del rapporto, John Howard venne eletto Primo Ministro. La sua prima iniziativa politica fu quella di stanziare un pacchetto da $63 milioni per l’assistenza alle vittime, la promozione delle riunioni familiari e servizi sanitari vari. Subito dopo la sua elezione, il Primo Ministro Rudd, succeduto ad Howard nel 2007, dopo anni di incomprensioni e rancori, a nome del Governo australiano chiese ufficialmente scusa agli aborigeni. Rudd si è contrapposto al suo predecessore John Howard, che in undici anni di Governo aveva sempre rifiutato di scusarsi sull’Australia di oggi. perché, a suo dire, le colpe dei governi precedenti non dovevano ricadere

La questione, sebbene ampiamente studiata e analizzata dalla comunità scientifica e dal mondo istituzionale, resta ancora aperta.

 

A cura di Giovanni Spallino Chimento

 

 

 

Redazione

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