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Quando (anche) le vittime sono colpevoli  

22 Novembre 2015.

Il Governo, con il decreto legge Salva-Banche, pone 4 istituti bancari italiani di modeste dimensioni in liquidazione coatta amministrativa, di fatto salvandoli dalle procedure per fallimento che nel corso del successivo anno sarebbero state inevitabilmente avviate.

La soluzione scelta dal Governo consiste nel separare le attività di bilancio sane e non in sofferenza da quelle costituite da crediti deteriorati, difficilmente riscuotibili per lo stato d’insolvenza dei debitori: le “banche buone” proseguiranno così nell’attività bancaria grazie ai fondi stanziati attraverso il decreto, mentre le restanti “parti cattive” andranno a confluire in una “Bad Bank” contenente la modica cifra di 8,5 miliardi di crediti in sofferenza.

Il problema? L’azione del Governo, necessaria ed efficace, è stata tutt’altro che efficiente, poiché tardiva di appena qualche mese rispetto alle nuove norme europee sul salvataggio statale degli istituti bancari, le quali impedisco la destinazione di fondi (direttamente) pubblici da parte dell’ente statale alla risoluzione di crisi bancarie.

L’operazione di salvataggio da 3,6 miliardi di euro ha così richiesto la copertura economica congiunta del sistema bancario italiano nel suo complesso, attraverso il Fondo di Risoluzione, e degli azionisti e obbligazionisti subordinati delle 4 banche, rispettivamente 130.000 e 10.500, che hanno così visto ridursi sostanzialmente (e in alcuni casi azzerarsi) i risparmi di una vita.

Si è molto discusso di quali siano i responsabili di questa crisi bancaria e del relativo, ingente danno ai risparmiatori, individuando come colpevoli a vario titolo: gli amministratori dei 4 istituti, gli organi di controllo (Banca d’Italia e Consob, e di rimando la Bce), i vari Governi che si sono alternati nel corso di questi anni, la classe politica nel suo complesso.

Ci si è però spesso scordati, anche per convenienza politica, di un altro “colpevole”, coincidente con la principale vittima della liquidazione approvata dal Governo: la classe dei piccoli risparmiatori.

È vero, infatti, che molti risparmiatori sono stati indotti a sottoscrivere titoli attraverso metodi illeciti e/o immorali (lo accerterà la magistratura a seconda dei casi) ma è anche vero che nella società contemporanea l’ignoranza e la superficialità non sono una scusa: la sufficienza e la facilità con le quali hanno affidato i loro risparmi in mano a operatori finanziari interessati, com’è normale e “giusto” che sia, ai loro soli interessi personali, è socialmente allarmante.

Decine di migliaia di euro investiti senza nessuna consapevolezza sul valore e sul significato di quanto si stava facendo, contratti palesemente sproporzionati e svantaggiosi firmati senza neanche essere letti, fiducia infondata in funzionari che hanno sapientemente manipolato i risparmiatori… Si giustificano questi elementi con la debolezza dei sottoscrittori di fronte alla Banca, con la loro ingenuità rispetto alle logiche finanziarie e con la relativa impossibilità di conoscere gli elementi essenziali di quanto stavano facendo, con l’incomprensibilità del “legalese” dei contratti per le persone comuni, e con altre argomentazioni simili.

Il problema principale è che i risparmiatori colpiti hanno voluto inserirsi in logiche di mercato che non comprendevano, procedendo alla ceca in un mondo a loro completamente sconosciuto, comportandosi senza neanche un minimo di razionalità nella gestione delle loro somme di denaro e disinteressandosi dei risultati, oltre che di tutti gli indicatori che potevano far dubitare della solidità delle 4 banche (erano virtualmente fallite, commissariate da mesi o anni dalla Banca d’Italia).

Tutti loro volevano trarre un profitto senza fare nulla, illudendosi che i loro depositi crescessero magicamente senza che vi fossero rischi. Hanno voluto giocare con un mercato finanziario molto più grande e complesso delle loro possibilità, rimanendo inevitabilmente bruciati.

Questo non vuol dire che non abbiano diritto, almeno in parte, ad una restituzione dei loro risparmi, in quanto in diversi casi imbrogliati palesemente, basti vedere le obbligazioni subordinate sottoscritte che rendevano meno di una normale obbligazione (un paradosso). Ma piuttosto che non vi siano le condizioni per la vastissima ondata di sdegno popolare e politico abbattutasi sul nostro sistema bancario tra clamore mediatico e opportunismo buonista. Ondata che ha avuto per effetto quello di incrementare ulteriormente una già marcata crisi bancaria e di generare speculazioni sulla effettiva solidità delle nostre banche nel loro complesso.

Secondo il businessman Harvey B. Mackay, “Il modo in cui la gente gioca mostra qualcosa del loro carattere. Il modo in cui perde lo mostra per intero”. Se questo è vero, allora dovremmo chiederci, una volta di più, se la nostra società sia realmente pronta per le competizioni e le sfide che ci aspettano nel mondo contemporaneo.

 

A cura di Francesco Cocozza

 

Redazione

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