19 Aprile 2024 - 19:28
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LO SFRUTTAMENTO MINORILE, UNA PIAGA DA ESTIRPARE  

Nihal ha 6 anni. Tesse tappeti. Lavora tutto il giorno e (spesso) tutta la notte.

Nihal è un bambino pakistano, i suoi genitori non possono mantenerlo, l’hanno venduto ad un fabbricante di tappeti.

Nihal sogna di fare il medico.

Nihal non è solo un bambino, Nihal rappresenta 168 milioni di bambini. Tanti sono i minori che vengono costretti a lavorare, la maggior parte in Asia (circa il 60%), a seguire c’è il continente africano (con circa il 29%) e l’America latina (8%) (Dati ILO, 2015).

Ma che vuol dire sfruttamento del lavoro minorile? Nel termine lavoro minorile rientrano genericamente tutte le forme di lavoro svolte da minori al di sotto di un’età minima stabilita per legge. Gli standard dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) richiedono che i paesi stabiliscano un’età minima per l’impiego, generalmente 15 anni, ma nei paesi in via di sviluppo può essere fissata anche a 14. Per tutti i lavori considerati pericolosi per la salute, la sicurezza o la moralità dei minori, l’età minima è di 18 anni. Sfruttare un bambino vuol dire privarlo della possibilità di andare a scuola, vuol dire privarlo della possibilità di un completo sviluppo della sua personalità, vuol dire privarlo della vita.

Quello dello sfruttamento dei minori, non solo lavorativo, è un fenomeno di non facile lettura, poiché diverse sono le cause che contribuiscono a questa situazione. In prima istanza mi preme far notare come non sia un caso che la quasi totalità dei casi di sfruttamento avvenga in paesi in via di sviluppo. Questi sono paesi nei quali la volontà di poter competere, alla pari con quelli maggiormente sviluppati e più solidi dal punto di vista economico, ha evidentemente allentato i controlli, ha fatto aumentare in maniera consistente la corruzione e ha permesso l’ingresso di capitali stranieri che cercano manodopera a bassissimo prezzo. Ecco, tale manodopera è individuata nei minori, avendo questi ultimi un potere contrattuale molto basso sono preferiti ai loro genitori (e agli adulti in generale). Tale situazione si risolve in un circolo vizioso: coloro i quali sono minori sfruttati oggi, domani non avranno la stabilità economica per far sì che i loro figli possano studiare e avere un futuro diverso.

Osserviamo ora quali sono i lavori e/o le attività di sfruttamento svolte dai minori:

SFRUTTAMENTO NELL’AGRICOLTURA COME MINI-BRACCIANTI: quello dell’agricoltura è uno dei settori dove maggiormente si verifica il fenomeno dello sfruttamento: secondo il rapporto ILO 2015, sarebbero 98 milioni i minori nel mondo impiegati in questo campo. I mini-braccianti sono venduti come schiavi e svolgono un lavoro davvero usurante sia da un punto di vista fisico che mentale.

PRODUZIONE DI PALLONI E TAPPETI: è questo il caso del bambino di cui parlo all’inizio dell’articolo, Nihal. Secondo  i dati riportati da diversi rapporti delle Nazioni Unite, in India, in Pakistan e in Nepal oltre un milione di bambini viene sottoposto a orari di lavoro massacranti. Sono numeri spaventosi. In questo campo i bambini sono preferiti rispetto agli adulti per via della loro conformazione fisica (ad esempio dita più piccole), ma anche perché spesso sono venduti a causa dei debiti contratti dai propri familiari.

BAMBINI DI STRADA: secondo Terre des Hommes i bambini di strada nel mondo potrebbero essere tra i 100 e i 150 milioni. La definizione più comunemente utilizzata è quella dell’Unicef che considera bambini di strada i minori per i quali la strada rappresenta la casa e/o la principale fonte di sostentamento e che non sono adeguatamente protetti o sorvegliati. Il concetto comprende i bambini sulla strada (street-working children), che vivono della strada e la sera rientrano a casa, e i bambini di strada (street-living children), che invece non hanno una famiglia o una casa a cui fare ritorno

LAVORO IN MINIERA E NELLE CAVE: sono migliaia i bambini impiegati in questo settore. Nelle Filippine e in Tanzania, ad esempio, rischiano la vita ogni giorno nell’estrazione dell’oro. Le Filippine sono il 20mo produttore mondiale di oro e, secondo i dati dell’ILO, sono impiegate nel settore minerario circa 300mila persone, delle quali almeno 18mila sono bambini e bambine. In Tanzania i bambini impiegati in miniere senza licenza ancora più pericolose per la loro salute, devono scavare in profondità pozzi instabili, e possono lavorare fino a 24 ore consecutive in cunicoli sotterranei, senza protezioni e costretti trasportare all’esterno pesanti sacchi.

BAMBINI SOLDATO: secondo una definizione dell’Unicef, un bambino soldato è una persona con meno di 18 anni di età che fa parte di qualunque forza armata o gruppo armato, regolare o irregolare che sia, a qualsiasi titolo – tra cui i combattenti, i cuochi, facchini, messaggeri e chiunque si accompagni a tali gruppi, diversi dai membri della propria famiglia. La definizione comprende anche le ragazze reclutate per fini sessuali e per matrimoni forzati. Secondo l’Organizzazione, oggi sono circa 250 mila i bambini costretti a combattere, sparare e uccidere nei tanti conflitti nel mondo.

SFRUTTAMENTO SESSUALE: ogni anno aumentano i minori che entrano in contatto con questa realtà e sono sempre più giovani. Il rapporto Save the Children “Piccoli schiavi invisibili – Le giovani vittime di tratta e sfruttamento” pubblicato lo scorso anno, riporta tra i gruppi di bambini maggiormente a rischio proprio quelli costretti a svolgere questa attività. Tale rapporto pone in evidenza come le tratte maggiormente utilizzate siano quelli che derivano dall’est Europa e dalla Nigeria. Importante è anche sottolineare la situazione relativa al nostro paese, in quanto, sempre secondo Save the Children, un’altra tipologia di sfruttamento legata a quella appena descritta è rappresentata dai matrimoni forzati, la quale comprende in modo particolare ragazze provenienti dalla Romania e ragazze rom.

Il lavoro minorile ha conseguenze serie che permangono nell’individuo e nella società oltre gli anni dell’infanzia. I giovani lavoratori non solo affrontano condizioni di lavoro pericolose, ma anche stress fisici, intellettuali ed emotivi. Essi sono destinati ad una vita adulta di disoccupazione e analfabetismo.” Queste le parole di Kofi Annan, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite. Durante lo svolgimento delle attività descritte poc’anzi numerose sono le conseguenze fisiche e psicologiche per i minori. Ad esempio i prodotti utilizzati nelle fabbriche possono danneggiare gli organi respiratori, il fegato e i reni. Portare pesi o assumere posture forzate molto a lungo può pregiudicare lo sviluppo osseo e la crescita.

Nonostante la situazione qui descritta non sembra far presumere scenari positivi, concluderei sottolineando come in linee generali il numero dei minori sfruttati è in continua diminuzione. Tale diminuzione è il frutto di politiche aventi come scopo non il mero boicottare le compagnie che utilizzano tali pratiche (come è avvenuto in passato), ma fornire ai governi locali la possibilità di formare i giovani. E’ fondamentale ricordare che qualsiasi politica che dimentichi di fornire opportunità educative praticabili si rivelerà fallimentare.

Le politiche che si stanno sviluppando prevedono una fase iniziale nella quale dotare le famiglie meno abbienti di un sostegno economico (per far che sì che non debbano più ricorrere alla vendita dei propri figli), la seconda fase consiste nel promuovere un’istruzione pubblica: è dimostrato, a tal proposito, che la riduzione della povertà nell’immediato e una più completa e accessibile istruzione scolastica nella fase successiva hanno portato grandi e soddisfacenti risultati nella lotta allo sfruttamento minorile.

E magari Nihal potrà fare ciò che più desidera nella sua vita.

 

Michele Balducci per Amnesty International Gruppo Giovani 100

Redazione

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