29 Marzo 2024 - 5:54
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Manifestazione delle femministe “sui nostri corpi decidiamo noi” Piazza Castello, Torino, 31 ottobre 2020 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

L’aborto non ha niente a che fare con i diritti del corpo delle donne

Abortisti vs antiabortisti. Cattolici, progressisti e tutti i partecipanti del dibattito più acceso del millennio.

Nei primi anni 2000 i forum online erano largamente usati nelle comunità virtuali per chiedere, conoscere, discutere e dibattere. Oggi, le stesse cose si fanno sui post di Instagram, Twitter, Facebook, nei podcast e, come sempre, a voce. Questi nuovi forum recentemente sono stati riempiti di scontri sull’aborto.

Gli schieramenti sono due: chi è pro e chi è contro. La prima squadra si divide a sua volta in due correnti, in base alle motivazioni che vengono fornite a favore della propria tesi. Ci sono quelli che attribuiscono al feto l’importanza di un corpo inanimato, senza pensiero né coscienza di sé, e ritengono che interromperne lo sviluppo sia il metodo contraccettivo estremo, carico di dolore e di pianti, ma pur sempre legittimo per la legge morale e per quella scritta. Poi ci sono i femministi del terzo millennio, che pongono come priorità assoluta il rispetto della donna e del suo corpo.
La seconda squadra presenta anch’essa due schieramenti di motivazioni. Da una parte coloro che vedono nel feto un bambino in vita rinchiuso nel corpo della madre, la quale, interrompendo la gravidanza, ucciderebbe il figlio. Talvolta questo schieramento può intersecarsi con il secondo gruppo: i cattolici. Questi, però, non sono necessariamente dello stesso avviso dei primi; infatti, non è scritto da nessuna parte nella Bibbia o in altri testi sacri che il feto sia un essere vivente la cui interruzione dello sviluppo costituisce un omicidio. D’altra parte, però, l’intero gruppo dei cattolici condivide una motivazione a sé contro l’aborto. È la bandiera che sventola sesso dopo il matrimonio, che è a sua volta un retaggio della convinzione che l’unione dei corpi e il loro sfregare intimo debba avvenire al solo scopo di procreare. Dunque, la contrarietà all’aborto deriva in parte dalla convinzione che il feto sia un bambino e in parte dalla disapprovazione nei confronti del sesso fine a sé stesso.

Quando un giocatore della prima squadra (abortista) incontra un giocatore della seconda squadra (antiabortista), le argomentazioni dell’uno e dell’altro spesso escono dal corso principale del dibattito e si immettono in una strada parallela, piena di insidie e di affermazioni nonsense. Tra richiami al rispetto del corpo della donna da una parte e menzioni sui diritti del feto dall’altra, la macchina del dibattito sbanda tra le idiozie di coloro che assumono una posizione senza sapere perché. Allo scopo di ristabilire il controllo dell’autovettura e di tornare a percorrere la strada del dibattito, è necessario chiarire qualche punto.
L’aborto non è una questione di diritti del corpo delle donne. L’affermazione è provocatoria, ma nasconde un ragionamento: in un mondo in cui il feto viene universalmente considerato come un essere vivente, un aborto ha la valenza dell’uccisione di un bambino appena nato per come lo concepiamo nel nostro mondo. Davanti a una madre che uccide il figlio appena nato, nessuno parlerebbe di rispetto delle libertà individuali delle donne, ma di massacro disumano. Di conseguenza, la narrativa secondo la quale il punto di scontro tra abortisti e antiabortisti è il rispetto del corpo della donna è una distorsione e una strumentalizzazione della realtà dei fatti. La vera differenza tra i due sta nel modo in cui il feto viene visto: come un bambino da una parte, come un quasi-bambino dall’altra.

Con questo ragionamento, il secondo gruppo all’interno dei pro-aborto (i femministi del terzo millennio che mettono sul tavolo della discussione il rispetto del corpo della donna) viene eliminato dalla competizione, con la speranza che possa riporre i suoi sforzi in battaglie in cui il suo contributo sia di maggior rilevanza logica.
Gli abortisti restano quindi in minoranza 1-2 in quanto a motivazioni a favore della propria tesi, ma è opportuno rivedere anche la formazione della squadra degli antiabortisti. Anche in questo caso, il secondo gruppo (i cattolici contro il sesso per piacere) è preso di mira dal lume della ragione. Poiché né Gesù né i suoi apostoli hanno mai proferito parola sull’aborto (pratica decisamente né comune né sicura ai tempi) è lecito dire che gran parte dei cattolici non sia contro l’interruzione di gravidanza per questioni legate al feto e alla sua natura, ma per disapprovazione nei confronti di rapporti sessuali frivoli, ovvero non finalizzati alla procreazione. Questa argomentazione, poiché si rifà a ragioni esterne (e anacronistiche) al tema di discussione può essere eliminata senza troppi risentimenti, con la speranza che i cattolici non se la prendano troppo per questa esclusione dal dibattito e che devolvano le loro energie a temi più coerenti con la loro fede.

A questo punto le motivazioni da una parte e dall’altra segnano il risultato di 1-1. Gli abortisti attaccano al grido “il feto non è un bambino” e gli antiabortisti ripetono la stessa frase eliminando la negazione. Non è uno scontro tra atei e religiosi. Non è uno scontro tra chi garantisce diritti e chi li nega. È uno scontro tra chi ritiene che il feto sia un essere umano e chi ritiene il contrario e nessuno dei due potrà essere convinto dell’opinione dell’altro, in quando entrambi sostengono la propria posizione non per un processo logico, ma per un insieme di eventi e di circostanze che costituiscono il background personale. È un eterno pareggio, 1-1.
Alla luce di queste considerazioni, qualcuno si potrebbe chiedere come applicare tali discorsi astratti nel mondo concreto. È giusto che uno Stato presenti l’aborto come un diritto, quando ci sono tante persone contrarie? È giusto che lo neghi, quando ci sono tante persone favorevoli? Ebbene, un pareggio ideologico di 1-1 crea una situazione di stallo in cui si accontenta o una squadra o l’altra, senza compromessi. Tuttavia, ci sono alcune misure di cui si può tenere conto per garantire la massima soddisfazione a un popolo vario che presenta individui pro e antiaborto.
Una di queste misure sta nell’indagine delle implicazioni dell’una e dell’altra soluzione. In primo luogo, mentre l’inclusione dell’aborto all’interno dei diritti individuali comporta una scelta (ognuno può scegliere se interrompere o meno la propria gravidanza), la criminalizzazione dell’aborto comporta un obbligo (partorire). Presa visione della legittimità di abortisti e antiabortisti a professare la propria convinzione, uno Stato che lascia all’individuo la scelta di agire secondo il proprio giudizio garantisce senza dubbio maggior soddisfazione generale di uno Stato che obbliga tutti prendere la stessa decisione.

Un’altra di queste misure prevede l’analisi costi-benefici per entrambi i gruppi, sia nella situazione in cui l’aborto sia garantito come diritto, sia in quella in cui sia negato dalla legge. Nel primo caso, gli abortisti gioiscono e sono liberi di scegliere se interrompere o proseguire tutte le gravidanze che vogliono. Gli antiabortisti, invece, piangono disperatamente, ma quando rimangono incinta sono liberi di proseguire la gravidanza. Nel secondo caso, invece, gli antiabortisti gioiscono vittoriosi, mentre gli abortisti sono obbligati a partorire figli indesiderati. È chiaro che quando l’aborto è garantito i costi sono pochi (la sofferenza degli antiabortisti) e i benefici molti, mentre quando è negato i costi sono molti e i benefici molto pochi.

Quest’ultima analisi conduce automaticamente a un’altra osservazione: quali sono nello specifico i costi di una messa al bando dell’aborto? Che la causa di una gravidanza indesiderata sia un preservativo rotto, un uso errato di altri metodi contraccettivi, una notte di follia e sconsideratezza, un’aggressione sessuale o semplicemente sfortuna, in tutti i casi una donna di ritrova accidentalmente un corpicino dentro di sé. Qualora questa donna volesse abortire, e qualora glielo fosse negato, sarebbe costretta a dare alla luce un figlio che non avrebbe voluto far nascere. Quale futuro potrà avere una tale creatura? Senza dubbio in buona parte dei casi l’amore verso il sangue del proprio sangue porta l’uomo (e la donna) a fare sacrifici disumani, ad essere pronti a lasciare tutto per crescere il proprio figlio. Ma questo scenario è riservato solo ad alcune delle coppie in gravidanza. In altri scenari il figlio cresce coi nonni perché i genitori devono lavorare per portare il pane a casa, in altri ancora i nonni non ci sono. Magari il padre va in Messico, oppure addirittura non si sa chi sia. Esistono altri cento scenari, nessuno dei quali promette cose buone per l’infante.

Alla luce di queste analisi, l’aborto non è solo il tesoro ideologico dei più libertini e progressisti, ma il diritto delle donne a considerare un feto come un essere non ancora in vita e il diritto dei bambini a nascere da donne che li abbiano desiderati.

Le polemiche rimangono e, per ricapitolare, si dividono in due tipi: quelle di coloro che considerano il feto come un bambino e quelle dei cattolici. Ai primi non si può dire niente. Non sono necessariamente degli ottusi che non riconoscono i diritti più moderni; semplicemente nel loro DNA emotivo il feto è un bambino e non si può né deplorarli né arrabbiarsi troppo. Ai secondi qualcosa si può dire. Infatti, il sospetto generale è che essi, più che all’aborto, siano contrari al sesso occasionale, o comunque al sesso per piacere senza l’intento di procreare. Con la speranza che quest’avversione venga dalla fede più profonda piuttosto che da una rosicata magistrale che l’astinenza dal sesso provoca, le parole del Faber Fabrizio De André ne Il testamento di Tito accorrono in aiuto.


Non commettere atti che non siano puri,

cioè non disperdere il seme.

Feconda una donna ogni volta che l’ami,

così sarai uomo di fede.

Poi la voglia svanisce e il figlio rimane

e tanti ne uccide la fame.

Io forse ho confuso il piacere e l’amore,

ma non ho creato dolore.


A cura di Francesco Gianfelice

Redazione

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