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La riforma costituzionale: tra criticità e necessità

Martedì 12 Aprile 2016, la riforma costituzionale, considerata da ogni maggioranza di governo fondamentale per garantire la stabilità politica del paese, è stata approvata dalla Camera dei deputati in seconda deliberazione; il disegno di legge era infatti già stato approvato da entrambe le Camere in prima deliberazione e dal Senato in seconda deliberazione. I voti favorevoli sono stati 361, 7 i contrari mentre l’opposizione con i pentastellati in prima linea seguiti da Lega, Forza Italia e Sinistra Italiana hanno lasciato l’aula di Montecitorio esprimendo il pieno dissenso su questa riforma, manifestando dunque una forte spaccatura all’interno del Parlamento; la Minoranza dem pur votando in maniera favorevole alla proposta ha apposto però riserve.

Questa riforma segnerà, almeno apparentemente, il superamento ed il tramonto del bicameralismo paritario considerato dai più critici “motivo principale della lentezza e dell’eccessiva lunghezza del processo legislativo della nostra Repubblica nonché dell’instabilità della maggioranza di governo”. Il superamento del bicameralismo perfetto avverrà riformando il Senato che di fatto altro non sarà che l’organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Le altre novità concernono la revisione della disciplina del procedimento legislativo e le previsioni del titolo V nonché la soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Procediamo dunque con ordine, concentrandoci sull’aspetto più spinoso e più controverso della riforma. La composizione del Parlamento pur rimanendo inalterata vedrà Camera dei deputati e Senato della Repubblica differenziarsi in composizione e funzioni, generando un sistema di bicameralismo differenziato. La Camera dei deputati, che mantiene la sua composizione, sarà titolare della funzione di indirizzo politico, del rapporto fiduciario e del controllo dell’operato del governo. Il Senato sarà l’organo di rappresentanza degli enti territoriali e il tramite di raccordo tra Stato, altri enti della Repubblica ed Unione Europea attraverso la valutazione delle attività delle pubbliche amministrazioni e la verifica dei risultati delle policy dell’Unione europea.

Le novità su cui però è necessario concentrarsi per comprendere l’impatto di questa riforma riguardano la composizione e la partecipazione alla funzione elettorale. Il Senato sarà composto da 95 senatori, rappresentativi delle istituzioni territoriali, e da 5 senatori di nomina presidenziale a cui si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica. L’elezione a suffragio universale e diretto per il Senato sarà sostituita con un’elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali, generando così un’erosione del principio della sovranità popolare, codificato dall’articolo 1 della Costituzione italiana, che con questa impostazione verrà calpestato. Per quanto riguarda invece il procedimento legislativo: la maggior parte delle leggi saranno approvate dalla sola Camera, attraverso un procedimento monocamerale, snellendo certamente il processo legislativo ma di fatto storpiando un’impostazione che garantiva il contrappeso tra le differenti istanze presenti nel nostro paese e la possibilità di un maggior controllo nell’iter legislativo. Il Senato, solo nelle materie espressamente determinate dalla Costituzione, concorrerà con le Camera nel processo legislativo, inoltre potrà formulare proposte di modifica, che dovranno essere poi essere esaminate dalla Camera.

I principali artefici della riforma, il primo ministro Matteo Renzi e la Ministra per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi convergono sulla convinzione che grazie a questa riforma l’Italia sarà il paese più stabile d’Europa. Pur volendo apprezzare il tentativo di concretizzare tramite questa riforma strutturale lo snellimento del processo legislativo, i benefici economici derivanti dai tagli del numero dei senatori e la maggiore stabilità di cui godrà l’esecutivo, la riforma presenta forti criticità legate soprattutto ad una sua presunta illegittimità, in quanto come ho già detto, in apparente contrasto con il diritto di voto e il principio della sovranità popolare, principi deducibili rispettivamente dagli articoli 48 e 1 della nostra legge fondamentale. Le criticità a cui alludo inoltre non potranno essere risolte dal referendum popolare che si terrà nel prossimo ottobre poiché, trattandosi come abbiamo visto di una riforma molto ampia che toccherà e di conseguenza modificherà diversi aspetti del nostro ordinamento, il cittadino si troverà a dover pronunciarsi con un “SI” o con un “NO”sull’intero complesso della riforma non potendo dunque votare sui diversi aspetti della controversa seppur necessaria riforma.

 

A cura di Guglielmo Graziano

Redazione

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