19 Marzo 2024 - 10:51
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Intervista a Massimo Simonini

NOI,TRE ITALIANI

La vita è piena di cose non necessarie che andrebbero filtrate attraverso il cuore. La storia di un soldato si basa su quell’essenziale e bisogna averne cura: voi cosa avreste fatto al posto nostro? Una cosa non avreste potuto fare. La colpa più grande che gli uomini possono avere: rimanere indifferenti. Anche voi, non rimanete indifferenti alle nostre storie. Prendete la forza delle nostre gesta, comprendetene il coraggio, riconoscete quello che avete ereditato a spese delle nostre vite. Perché se è vero che le medaglie non vanno in paradiso, ci vanno però le idee con le quali si è vissuto fino all’ultimo respiro.” 

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Come nasce l’idea di questo libro?

Sin da ragazzo sono sempre stato affascinato dallo studio della Prima Guerra Mondiale. Forse per il contesto storico, così a ridosso dell’Unità d’Italia, forse per le tante testimonianze dirette. Mi ero ripromesso di andare un giorno più a fondo sulla tematica così da potere, per così dire, farla mia. Quando nel 2013 ho iniziato la mia collaborazione artistica con lo Stato Maggiore della Difesa, entrambe le nostre attenzioni si sono rivolte proprio alla Guerra del 1915-1918 e all’imminente Centenario. Con l’Ufficio Storico volevamo raccontare delle storie semplici che potessero toccare i cuori degli adulti e soprattutto dei giovani. Volevamo diffondere e ricordare determinati valori attraverso un progetto, quello del romanzo, diretto e alla portata di tutti.

Come sei arrivato alle storie di questi “tre italiani”?

 La scelta è stata quasi casuale, e per questo il risultato è ancora più sincero e sorprendente. Riccardo Giusto, di Udine, Giovanni Coppola, di Collepietro (AQ), e Ciro Scianna, di Bagheria (PA), sono tre ragazzi semplici, nati in famiglie povere ed umili. Hanno guadagnato delle medaglie per i loro atti eroici, questo è vero, ma la cosa più sorprendente è come le loro vite, partendo da contesti geografici lontani, si siano ricongiunte in una comunione di sentimenti ed intenti. Finire a combattere in prima linea sul fronte è stato un destino che non potevano aspettarsi, ma questo non gli ha impedito di fare comunque delle scelte fondamentali tra il bene ed il male. Scavare in queste biografie, girando per tutta Italia, mi ha fatto scoprire la ricchezza umana del nostro Paese: ciascuna vita, nella realtà come nel mio romanzo, è un intrecciarsi di voci ed emozioni in grado di sorprenderci continuamente.

Che cosa si prova a scrivere su un tema così sensibile come quello della Grande Guerra?

Non nasco come autore di romanzi storici, ma questa nuova avventura mi ha fatto crescere umanamente, oltre che artisticamente. Ogni volta che inizio un nuovo lavoro, che sia narrativa o teatro, aspetto sempre il momento in cui qualcosa scatta nella mia testa e riesco a percepire l’essenza di ciò che devo raccontare, così da mettere a fuoco l’obiettivo e credere nel mio messaggio. Nel caso di “Noi, tre italiani” quel momento è arrivato durante alcune passeggiate e studi proprio lungo l’Isonzo, mentre ripercorrevo le orme di Riccardo, Giovanni e Ciro. Improvvisamente ho capito di aver fatto un passo avanti, di aver intravisto quello che per quei giovani era la quotidianità. Ed è tutto quello col quale ho riempito , a volte soffrendo , le pagine del mio romanzo.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

La storia ha bisogno di tempo per essere capita. A volte non bastano cento anni, ma dobbiamo provarci. “Noi, tre italiani” non vuole ricordare una guerra, bensì vuole educare alla pace. La prima metà del libro racconta le vite dei tre giovani prima della partenza per il fronte, proprio a dimostrazione di quanto sia fondamentale ritrovarci in determinati valori sociali e familiari, che hanno dato vita al nostro Paese. A chi legge questo libro, a chi vede lo spettacolo teatrale, chiedo solo una cosa: di non rimanere indifferenti di fronte a queste storie, di non trattare le centinaia di migliaia di caduti come dei semplici numeri. Si può imparare dal passato per costruire di nuovo la pace e, dove ne vediamo il bisogno, per costruire un nuovo Paese unito.

Dopo questa esperienza è cambiato il tuo modo di concepire il valore della “libertà”?

 E’ cambiato nella misura in cui vedo crescere i ragazzi con i quali mi confronto quotidianamente nelle scuole e nei teatri. In questo devo ringraziare la casa editrice Edizioni Anordest e l’Associazione Culturale Sperimentiamo, perché, attraverso il romanzo e l’omonimo spettacolo, riesco ad arrivare a tantissimi giovani studenti che si affascinano ed imparano dalle storie di Riccardo, Giovanni e Ciro. Capiscono cosa c’era dietro la vita di ogni singolo soldato e capiscono che anche quando ci viene imposta la strada da percorrere, siamo sempre liberi di fare delle scelte e di fare della nostra vita qualcosa di grande. Riuscire ad educare ad una libertà “sana” è forse il premio più grande che questa meravigliosa professione mi possa dare.

Redazione

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