23 Aprile 2024 - 11:19
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COSI’ e COSA’. Il linguaggio dei barbari  

Affezionatissimi lettori, con questo numero si apre l’ anno solare di Globetrotter e “così e cosà” non può esimersi dal tornare a lavorare sporco per voi. Il 2016 sembra essere l’anno del riscatto per noi, orfani di una visione collettiva, membri di una generazione sola al cospetto del mondo, che deve rimboccarsi le maniche per essere al passo dei tempi, al passo dei nostri coetanei stranieri, al passo (soprattutto noi cittadini del mezzogiorno) di chi usufruisce di una realtà più stimolante e costruttiva. Attaccati alla statistica, cresciuti a pane e jobs act, un po’ choosy, un po’ scapigliati. In fila ai concorsi, con bagagli pieni di curricula e lettere motivazionali. Continuo a pensare che il nostro compito oggi sia prima di tutto quello di ricostruire il nostro mondo e viverlo. Vivere edificando, per noi e quelli dopo di noi,  è la nostra vera missione. Globetrotter ne è l’esempio.

Tuttavia le speranze e le aspettative si praticano, non si decantano. I sogni diventano realtà se inseriti in un contesto che li recepisca e li valorizzi. La politica, per essenza, dovrebbe essere il luogo in cui tutto ciò trovi cittadinanza. Se viene vista come un ostacolo deve esserci pure qualche disfunzione. I sintomi del malfunzionamento sarebbero infiniti da elencare e i 2500 caratteri canonici di questo spazio non mi consentono di analizzarli tutti. Quello che più rattrista e sdegna, e ne abbiamo avuto un cospicuo assaggio in queste settimane, è il linguaggio della politica: barbaro, irrispettoso, scurrile, ineducato. I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo, diceva il filosofo austriaco Wittgenstein ed è esattamente questo il punto.

Non è che l’imbarbarimento del linguaggio sia in realtà l’imbarbarimento della società italiana in generale? Non è che chi ci rappresenta è lo specchio del nostro lato peggiore, celato dal nostro mediocre perbenismo?  La metafora faunistica è ormai il mezzo tipico del dibattito parlamentare. Associare persone o fatti ad animali è il modo più immediato per un parlamentare di esprimersi. Gufi, canguri, oranghi, serpi affollano le aule di Montecitorio e di Palazzo Madama trasformandoli in zoo estemporanei di belve cresciute in cattività. Il rispetto delle istituzioni è un mero esercizio retorico, non una pratica giornaliera. Non so voi, ma a me disturba tutto ciò. Disturba vedere uomini o donne saltare sui banchi del Parlamento, disturba ascoltare siffatto degrado, che non ha partito, sia chiaro. E’ una sorta di ineluttabile destino, retroterra culturale difficile da aggiustare. Sarebbe bene capirlo, e cambiare: chi ci rappresenta non è ne più e ne meno di quello che siamo.

 

Redazione

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