28 Marzo 2024 - 19:01
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Così e Cosà. Davigo, mi consenta: si contenga.

Non so se è il caso di parlarne. Non so se quello che sto per dire è frutto di un rigurgito post prandiale che ti viene se non hai digerito bene il “peperone ripieno” della domenica. Ho molti dubbi, poche certezze e spero che, come al solito, siate gentili e comprensivi: si sa, è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare. Ho avuto modo di leggere l’intervista che il nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Piercamillo Davigo, ha rilasciato qualche tempo fa al Corriere della Sera. Proprio mentre scrivo un’altra tegola giudiziaria investe il Pd Campania. Il suo presidente, Stefano Graziano, sarebbe coinvolto in un affare di Camorra. Troppo presto per dare giudizi, troppo poco per esprimere un parere compiuto sulla vicenda. Quel che è certo è che c’è una questione morale che investe la politica, di destra, di sinistra, di centro. Davigo lo dice, con toni esasperati, duri. Si, ho provato disagio nel leggere quelle dichiarazioni, non come giovane appassionato alla politica, ma come studente deluso dal comportamento di un professore che stima. L’Italia dovrebbe averne abbastanza di generalizzazioni, di sante inquisizioni e di gentismo esasperato, per giunta espressi da un giudice di una corte, quella di Cassazione, nume tutelare del garantismo, nella sua accezione più alta.

È il pregiudizio che preoccupa, non tanto il giudizio. Ormai il linguaggio dei barbari ci ha abituati a questo, e ha reso antico ogni infingimento dell’ipocrisia istituzionale. Il vocabolario violento è costume. La mia passione per la politica non mi fa sentire colpevole di nulla, né tantomeno posso dire di aver conosciuto, nella mia pur breve esperienza di militanza in un partito, delinquenti di qualsiasi specie. Chi se la prende per il giudizio ha la coda di paglia. State sereni: sempre a testa alta, come prima, anche dopo Davigo. Mi rendo conto però di essere stato fortunato: sulla mia strada ho fin ora incontrato solo persone per bene. È vero, c’è una questione morale che investe la politica; disvalore in vent’anni è diventato valore, la richiesta alla politica è povera di contenuti e finalizzata alla risoluzione di questioni di basso cabotaggio. Che cosa si chiede alla politica ed ai propri rappresentanti? È qui che Davigo sbaglia lettura: la malattia dell’Italia è la malattia del suo popolo. Solo la politica, quella buona, quella che Davigo accomuna a quella cattiva, può curarla guidando una riscossa civica e culturale che, dai partiti, come strumenti per selezionare classi dirigenti in un perimetro di valori condivisi, riporti l’Italia ad essere grande. La via giustizialista ha già fallito una volta, per cortesia.

 

 

Redazione

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