19 Aprile 2024 - 10:50
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Brexit o non brexit

Non c’è da sorprendersi se, nel Regno Unito, un singolo soggetto possa rallentare o, addirittura, bloccare un intero iter politico, come quello che porterebbe la Gran Bretagna all’ uscita dall’ Unione europea. Difatti, l’Inghilterra è sempre stata la patria dei diritti soggettivi. Era il 1215 quando Re Giovanni detto “Senza terra” dovette cedere alle pressioni interne e concedere la “Magna Carta”. Tale documento decretava la fine del potere assoluto del sovrano. Una novità assoluta nell’ Europa Medioevale, strettamente ancorata alla Santa Romana Chiesa. Nella Magna Carta veniva sancito, ad esempio, che il sovrano non potesse decidere autonomamente sulla vita o morte di una persona. La decisione spettava a un consiglio di nobili, predisposto a deliberare le decisioni del monarca: una prima forma di distribuzione dei poteri. Secoli dopo, nel 1689, in piena epoca lockiana, veniva emanata la prima forma di costituzione moderna: Il “Bill of Rights”. Il Parlamento assumeva pieno potere legislativo e controllo sull’ operato della Monarchia. Il Re diveniva, in sostanza, una figura di rappresentanza.

 

Proprio al parlamento, composto dalla Camera dei Comuni e dalla Camera dei Lord, spetterà l’onere di decidere sull’ attivazione o meno dell’articolo 50 del trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione: In sintesi, dovrà esprimere un parere favorevole o sfavorevole alla Brexit. Tutto ciò è nato, come solo in un vero Paese democratico può accadere, da un ricorso all’ Alta Corte, la nostra Cassazione, di un semplice cittadino. Certo, il cittadino in questione, anzi la cittadina, è una donna di 50 anni con un passato di successi nella Finanza. Con il suo “hedge fund”, un po’ di anni fa, ha racimolato la bellezza di 30 milioni di sterline. Una cifra che le ha permesso di impegnarsi nella Charity, dove non ha mancato di farsi notare: ha denunciato, per anni, gli sprechi burocratici delle ONG, forse insoddisfatta di come venissero utilizzati i propri soldi. La signora della quale stiamo parlando si chiama Gina. E’ originaria della Guyana ma è cresciuta negli ambienti benestanti di Londra, dove si è laureata, in Marketing, alla Università of London. Gina ha assunto un team di 12 avvocati per presentare ricorso all’ Alta Corte. La questione sollevata era in merito alla decisione del Governo May di avviare le procedure di uscita dall’ Unione, senza interpellare, in alcun modo, il Parlamento. Secondo i legali, il referendum avrebbe un valore meramente consultivo e non deliberativo, dunque è necessario un voto parlamentare prima di intraprendere qualsivoglia procedura. Della stessa opinione è stata la sentenza dell’Alta Corte, pochi giorni fa, che, quindi, obbliga il Governo ad un passaggio parlamentare. L’ esecutivo non ha aspettato a ricorrere in appello: la sentenza finale è attesa per i primi di Dicembre.

 

Questa è un ulteriore zavorra per il giovane Governo Mai, chiamato a risolvere una situazione assai complessa, dove interessi politici, sociali ed economici si intrecciano e si scontrano. Le trattative per l’uscita dall’ Unione europea, secondo quanto annunciato dal Governo, sarebbero dovute iniziare a febbraio del 2017, ma questa nuova evenienza potrebbe dilungare ulteriormente i tempi necessari. Se la sentenza dell’Alta Corte dovesse essere confermata, si avrebbero di fronte diverse alternative: la prima sarebbe sperare nel voto favorevole di Camera dei Comuni e Camera dei Lord; la seconda sarebbe indire nuove elezioni. Entrambe sono collegate l’una con l’altra. La maggioranza parlamentare è contraria alla brexit, e non è così scontato che i parlamentari cambino opinione, pur di rispettare la volontà popolare. Dunque in questo caso, Il governo May, pur di assicurarsi una maggioranza solida, potrebbe sciogliere il Governo e, in questo caso, si svolgerebbero nuove elezioni. Queste porterebbero ad una larga maggioranza dei conservatori e ad una forte rappresentanza dei populisti dell’ UKIP di Farage, visti i trend attuali. Con un largo consenso, il Governo May non solo otterrebbe facilmente il via libera delle Camere, ma avrebbe una base solida, con la quale condurre i negoziati con l’Unione.

 

Finora le posizioni sui vari temi mostrati dal Governo May si sono rivelate particolarmente rigide. Una delle prerogative principali è fermare il flusso di cittadini europei che giungono in Gran Bretagna. Una delle prerogative è fermare la libera circolazione di persone, bloccando la maggior parte dei cittadini europei intenzionati a trasferirsi in Gran Bretagna e rendendo la vita difficile a quei pochi che entrerebbero. Maggiori tasse, minore accesso al Welfare, Maggiore burocrazia è il trattamento che si vuole riservare ai cittadini europei. L’ Europa, di canto suo, non ha incassato le minacce di Downing Street. Ha promesso negoziati duri, fino ad arrivare ad un’uscita senza concessioni, nel caso Londra non voglia mediare sulle sue posizioni. Nel caso di un’uscita totale dall’ Unione, Il Regno Unito rischia molto su tutti i fronti: le aziende e le banche cercherebbero altre sedi, in un Paese dell’Unione; membri del Regno Unito, come la Scozia, proclamerebbero l’indipendenza da sua Maestà. Uno scenario apocalittico, al quale difficilmente si giungerà. Per quanto concerne il libero mercato, l’idea è quella di garantire l’accesso ai settori principali dell’economia inglese: quello finanziario e quello automobilistico. Di pochi giorni fa, l’accodo tra il Governo e Nissan, con il quale si è assicurata la permanenza della produzione del colosso Giapponese, che sforna 600.000 macchine ogni anno nella sola Inghilterra. Ma a quali condizioni? Probabilmente gravose per le casse statali, che dovranno compensare i danni della brexit per le multinazionali, pur di trattenerle in Patria. Probabilmente il Governo dovrà trattare anche con ogni singola Banca della City, per rassicurarla sul buon esito dei negoziati. Secondo l’unione bancaria inglese, infatti, già il 20% degli istituti finanziari sarebbe già pronta a trasferire la propria sede in un’altra città europea, come Dublino, Parigi, Francoforte e Milano. Notizia di oggi che HSBC, la quarta Banca per capitalizzazione al mondo, ha chiesto un incontro formale con il Governo May per delle delucidazioni.

 

La grande incertezza che sta vivendo, in questo momento, la Gran Bretagna non tranquillizza sicuramente i mercati finanziari. La sterlina si sta progressivamente svalutando ed è in procinto di raggiungere un cambio di 1:1 con l’euro. Ciò potrebbe causare, anche nel breve periodo, una crescita dell’inflazione, dato che tutte le merci estere diventeranno meno convenienti da acquistare. Tuttavia, nonostante tutti le diverse preoccupazioni, è da sottolineare che, almeno da un punto di vista economico, la Gran Bretagna parte da una situazione quasi ottimale, con Pil in crescita e disoccupazione bassa. Anche nei mesi post-referendum, non c’è stato quello shock che era tanto atteso. Tuttavia, ora è compito del governo mantenere la situazione più stabile possibile, senza tralasciare l’opinione democratica e indiscutibile della cittadinanza. D’altronde, in quest’ultima, c’è sempre un 48% che ha optato per la coesione e la collaborazione e non per la totale indipendenza. Quando ci saranno i negoziati, il Governo dovrà considerare anche questa parte, se vuole essere veramente democratico e non tradire i valori che hanno contraddistinto la Gran Bretagna, nel corso dei secoli.

 

a cura di Eugenio Baldo

Redazione

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